Il potere magico della musica nell'antica Grecia





Quanto è più antico il passato a cui risaliamo nella storia dell'umanità, tanto più vediamo la musica comparire non in forma di manifestazione artistica, ma come elemento legato ai particolari più umili della vita quotidiana o connesso agli sforzi tesi a stabilire un contatto con il mondo metafisico Lo stregone primitivo, lo "sciamano", ricorreva alla magia musicale per guarire una malattia, per scacciare un demone, o, addirittura per mutare il corso degli eventi naturali.
Nell'antica Grecia la musica era presente in tutti i momenti della vita associata del popolo, nelle gare agonali, nei simposi, nelle cerimonie religiose, nei rituali di carattere purificatorio. Le pratiche cultuali di Dioniso, il dio dell'ebrezza e dell'invasamento, promettevano una radicale trasformazione dell'individuo intesa come via religiosa di recupero. Tale salvezza si risolveva nella sperimentazione di tutte le trasgressioni in uno stato di trance, procurato dal suono insinuante del flauto e attraverso la danza, cioè nella follia che è la dimensione in cui compariva il dio stesso, il mainòmenos, il pazzo per eccellenza.
Nelle Baccanti di Euripide si giunge a rappresentare persino l'ultima trasgressione, quella della madre che fa a pezzi il proprio figlio. La concezione della musica che affiora dal mito di Dioniso è analoga a quella che emerge dal mito di Orfeo, il dio che con la lira rappresenta un richiamo di tale potenza da mutare e fermare il corso degli eventi: il suo canto procura piacere di carattere così particolare, magica, da tramutarsi in incantesimo e da costringere tutti gli esseri a seguirlo come invasati da una potenza superiore. Intanto non è un caso che Orfeo sia sempre stato raffigurato con la lira, mentre Dioniso come suonatore di flauto; si tratta di una distinzione simbolica alla cui base ci sono due concezioni diverse circa il potere della musica. Orfeo canta e si accompagna con il suono della lira: il potere è dovuto a due elementi fusi insieme, la parola e la musica, la poesia e il suono.
In effetti lo stesso termine greco da cui è derivato il nome musica, mousiké (l'arte della Muse), definisce non solo l'arte dei suoni, ma anche la poesia e la danza, cioè i mezzi di trasmissione di cui una cultura che, quindi, si diffondeva attraverso pubbliche esecuzioni nelle quali non solo la  melodia e il gesto, ma soprattutto la parola, avevano una funzione determinate.
Il poeta che cantava nelle occasioni di feste era portatore di un messaggio proposto al pubblico in una forma allettante e quindi persuasiva, proprio attraverso gli strumenti tecnici della poesia, quali le risorse del linguaggio figurato e l'armonia dei metri e delle melodie che ne favorivano l'ascolto e la memorizzazione.
Dioniso, invece, trae il suo potere unicamente dal flauto il quale, ovviamente, esclude il canto e la poesia. Il flauto occupava presso i Greci un posto tutt'altro che limitato ai rituali dionisiaci: strumento orgiastico, legato al vizio per lo più suonato da schiavi o da persone di umili origini, veniva usato in determinate occasioni, in cui come effetto catartico si scaricavano le tensioni e cioè ad esempio, nelle rappresentazioni teatrali o durante i banchetti.
Infine Platone ed Aristotele trovavano spregevole questo strumento: lo studio dell'auletica (1), perché impedisce di servirsi della parola non sviluppa l'intelligenza per cui era da scartare dal programma educativo dei giovani.
In effetti Euterpe, questa antica musa, ha da sempre esercitato il proprio potere magico sull'uomo e in qualunque epoca, da quando danzava nei rituali dionisiaci, fino ad oggi come spettatore ad un concerto di musica classica o di musica rok: senza dubbio la musica, tra tutte le arti, è quella che ha la massima capacità di 
coinvolgere l'interiorità soggettiva dell'individuo, risvegliando associazioni emotive attraverso l'atto spontaneo della immaginazione.


Note:
(1)AULETICA è una voce dotta che nell'antica Grecia significava l'arte di suonare l'aulos cioè uno strumento musicale simile alla zampogna.