W.A.Mozart. Kyrie Eleison, Dies Irae, Confutatis dal Requiem in re minore K.626



Nel luglio del 1791, mentre lavorava intensamente al Flauto Magico che sarà andato in scena di lì a poco, Mozart ricevette una strana visita.  Un emissario sconosciuto, alto, magro, vestito di scuro, gli consegnò una lettera anonima;  l'ignoto mittente esprimeva apprezzamenti lusinghieri sulla sua arte, e gli chiedeva il prezzo per una eventuale da Requiem, pregandolo anche di comunicargli di quanto tempo avesse bisogno per scriverla. Mozart, dopo essersi consultato con Konstanze (che gli consigliò di accettare), decise di acconsentire, indicando la somma di 50 ducati, Evitò però  di dare una scadenza precisa alla consegna.


Konstanze

Il messo fece ritorno, portando la somma pattuita e promettendo un ulteriore supplemento a lavoro finito.
Il committente lasciava a Mozart piena libertà sulla musica da comporre, e faceva intendere che voleva restare anonimo. L'emissario si ripresentò periodicamente, in seguito, a sollecitare l'esecuzione del lavoro.
Il motivo di tanto mistero fu chiarito solo dopo la morte di Mozart. L'ignoto committente era in realtà il conte Franz von Walsegg zu Stuppach che, in ricordo della moglie Anna Edle von Flammberg (morta il 14 febbraio 1791), voleva far eseguire una messa da requien; aveva perciò incaricato il suo amministratore, certo Leutgeb, di commissionarla a Mozart.
Il conte era u buon dilettante di musica (suonava il flauto e il violoncello), e amava passare per compositore, perciò era solito ordinare anonimamente, ad altri compositori, quartetti che poi eseguiva in casa propria, spacciandoli per suoi. Più tardi anche del Requiem mozartiano, il conte fece una copia, che firmò lui stesso come se ne fosse l'autore.
Messosi all'opera, Mozart dapprima procede a rilento nel lavoro, poiché impegnato nella composizione del Flauto magico e della Clemenza di Tito; soltanto dopo la rappresentazione delle due opere può mettersi di buona lena a comporre il Requiem. Il lavoro lo impegna subito a fondo, ma la salute non lo sorregge: molto affaticato, e in preda a una grande sovreccitazione nervosa, il compositore deve interrompersi più volte.
E' in questo periodo che si fanno sempre più pressanti i presagi di morte e che il suo umore è costantemente tetro: arriva persino a dire a Konstanze che sta scrivendo il Requiem per se stesso.
Costretto infine a letto, Mozart continua a lavorare alla composizione senza posa, ma non riuscirà a finirla: sarà colto dalla morte tra il 4 e il 5 dicembre.
Portare a termine la partitura sarà compito di Franz Xaver Sussmayer, che negli ultimi tempi era stato allievo di Mozart per la composizione, e che aveva appreso dal giovane maestro il piano generale del Requiem e  molti dettagli della strumentazione.
Per la densità espressiva e lo stile fortemente drammatico, il Requiem si stacca di netto dalla precedente composizione sacra mozartiana. La tradizione è rispettata nell'impiego di melodie liturgiche e di sezioni in contrappunto rigoroso; ma l'approccio drammatico al testo sacro, e insieme una spiritualità più umana e sofferta, fanno del Requiem un'espressione molto personale e moderna, l'espressione intensa di un animo dominato dal pensiero della morte e desideroso di purificazione.
Già l'attacco è denso di significati simbolici: nel colore scuro della strumentazione, nell'impasto timbrico di fagotti, tromboni e corni di bassetto (gli strumenti che danno perfetta espressione ai sentimenti nobili e sacri), si riflettono le allusioni alla sfera del mistico e del sublime.
L'entrata del coro sulle parole del Kyrie, e la colossale doppia fuga che chiude la sezione, suggeriscono l'immagine impressionante dell'umanità che aspira alla redenzione.
Ma è col prorompere del Dies irae che Mozart raggiunge l'acme della drammaticità: il terrore l'ansia febbrile del coro, l'agitazione selvaggia che scuote le voci e l'orchestra, riportano alla memoria le plastiche immagini michelangiolesche del Giudizio Universale.
Un dramma ancora diverso pervade il Confutatis, che descrive i tormenti infernali. Il brano vive del netto contrasto tra le voci maschili sorrette da un'armonia dissonante, che esprime lo strazio delle anime dannate, e le voci femminili , che paiono venire da lontananze remote e traducono l'implorazione alla salvezza nel regno degli eletti.


























































































La "pittura sonora" nella musica colta europea.



Uno dei più potenti principi di sviluppo e di invenzione di strutture musicali nella musica colta europea è quello dell'imitazione, più o meno volontaria, più o meno esplicita, in alcuni casi anche forse non voluta o del tutto inconsapevole, di eventi naturali, di comportamenti umani, di schemi di pensiero, di immagini di fantasia.
Il concetto di !imitazione" nel campo estetico, è molto antico; risale ad Aristotele ed è stato poi ripreso in epoca rinascimentale e diffuso in tutta l'area europea fra il Cinquecento e il Settecento, come idea capace di spiegare i fenomeni artistici in genere: l'arte era imitazione della natura, una sorta di tentativo dell'uomo di avvicinarsi al mistero della creazione divina, imitandola. Il concetto si imitazione si applica prima di tutto alle arti figurative: la pittura e al scultura imitano gli oggetti naturali; ma si applica anche a quelle del gesto e della narrazione:  gli attori "imitano" i gesti degli uomini, i racconti che vengono narrati sulla scena (o anche quelli che vengono narrati nei poemi e nei romanzi) "imitano fatti accaduti  o immaginati come accaduti.
Anche la musica in quell'epoca si scopre dotata di facoltà mimetiche sa imitare le inflessioni della lingua parlata o poetica, da quelle più elementari (come ad esempio l coincidenza degli accenti musicali con gli accenti tonici della parola) ad altre più sottili ( il ritmo del parlato, le inflessioni d'altezza o d'intensità della voce), ad altre ancora più complesse (gli schemi e le leggi dell'oratoria); sa imitare anche gli gesti degli uomini, soprattutto i gesti più codificati e rituali, come quelli della marcia e della danza, ma anche altri più imprevedibili, come quegli degli attori sulla scena. Sa imitare ancora suoni naturali, per esempio attraverso onomatopee che richiamano i canti degli uccelli (si ricordi la "Primavera" di Vivaldi), i suoni delle trombe in battaglia, i rumori e i ritmi della caccia. Infine s "imitare" immagini più astratte, ma tipiche di situazioni antropologicamente e psicologicamente molto rilevanti: il contrasto, il dialogo, la tensione, l'armonia, il raggiungimento, l'ascesa, l'interruzione, etc.
Alcune di queste facoltà sono legate a particolari contrasti funzionali: ad esempio quando si danza la musica deve "accompagnare" o guidare i gesti dei danzatori, deve dare segnali opportuni perché chi danza sappia come muoversi. Ma anche quando la musica diventa semplicemente strumentale e la sua funzione si riduce a quella pura e semplice di venire ascoltata, anche in questi casi le tracce di contesti funzionali non più presenti in quanto tali, continuano a esistere, a sollecitare la fantasia di chi suona e di chi ascolta, a evocare memorie più o meno inconsce.
Il "sistema" musica, l'insieme delle regole che organizzano la sua struttura sonora, ha proprie leggi particolari che devono assicurare a chi ascolta un livello efficiente di percepibilità; ma all'interno di questo sistema "grammaticale" si inseriscono nel corso dei secoli richiami sempre più complessi intrecciati a quegli eventi del mondo che la musica sa di poter "imitare".
Si chiama "stilizzazione" di questi eventi il processo che permette il loro inserimento, all'interno del loro regolato sistema sonoro della musica.