Luca Marenzio. Madrigale "Vezzosi augelli"

Luca Marenzio


La fama di Luca Marenzio (1553 ca.-1599) è soprattutto legata alla sua produzione madrigalistica, che rappresenta un momento culminante della fase più matura e raffinata del madrigale. In essa l'impiego magistrale della più ricca e complessa scrittura contrappuntistica cinquecentesca è posto al servizio di un' attenta ricerca espressiva, di un'invenzione estremamente varia e sciolta, mantenuta all'interno di un'ispirazione legata agli equilibri rinascimentali
Il testo poetico di Torquato Tasso si può dividere in coppie di versi ciascuna delle quali elabora una sua immagine (il canto degli uccelli, il mormorio dell'aria, ecc.)
Il testo musicale descrive queste immagini secondo la pratica del cosiddetto "madrigalismo", che consiste nel cercare di suggerire o imitare - attraverso gli andamenti melodici, polifonici o armonici- i suoni, i gesti o i sentimenti che vengono nominati nelle parole del testo. Ad esempio nel primo verso la parola "augelli" stimola il musicista ad inventare (e a far cantare omoritmicamente alle due voci femminili superiori varie, instabili, "svolazzanti": il tenore enuncia le parole del testo, mentre i due soprani lo mimano e lo "descrivono". Altro esempio: nei versi 5 6 la corrispondenza inversa fra il canto degli uccelli e il moto dell'aria stimola Marenzio a introdurre analoghe contrapposizioni nella musica: "Quando taccion..." e "Più lieve scote" sono scritti in forma molto statica, mentre "alto risponde" e "quando cantan" sono assai più mossi e toccano note più acute. I versi 3 e 4 sono ricchi di madrigalismi.
Oltre che sull'uso dei madrigalismi, la musica di Marenzio punta su un altro effetto: quello della declamazione espressiva delle parole.
Im primo luogo c'è da osservare che nel madrigale del '500 è largamente diffusa (al contrario di quanto avveniva nei secoli precedenti) la pratica di ripetere le parole del testo, quando ciò è necessario per dare una particolare enfasi a qualcuna di esse.
Un esempio è la molteplice ripetizione della parola "garrir" il cui significato viene in questo modo sottolineato dalla ripetizione. un altro esempio ancora più particolare è quello della seconda parte del verso 1: "in fra le verdi fronde", che viene ripetuto per tre volte e ciascuna volta su note più alte.
Quest'ultimo procedimento, che si diffonderà poi ampiamente in tutta la musica barocca, prende il nome di "progressione", Esistono progressioni ascendenti quando il frammento, come in questo caso, viene ripetuto su note via via più alte, e progressioni discendenti quando la ripetizione avviene invece su note gradualmente più basse.
Ogni frammento semanticamente compiuto del testo letterario viene enunciato dalle varie voci (in imitazione, in omoritmia, ecc.). Mentre alcune voci completano l'enunciazione del frammento, altre già introducono il frammento successivo, per cui anche il madrigale, come la chanson, assume la struttura "a incastro" tipica di tutta la polifonia di quest'epoca. Solo una volta ogni tanto le voci si fermano tutte insieme introducendo nel movimento una sosta collettiva.
Il testo:


Vezzosi augelli infra le verdi fronde
Temprano a prova lascivette note.
Mormora l'aurea e fa le foglie e l'onde
Garrir, che variamente ella percote.
Quando taccion gli augelli, altro risponde
Quando cantan gli augei, più lieve scote.
Sia caso od arte, or accompagna ed ora
alterna i versi lor, la music'ora.













C.Monteverdi. Madrigale: "Sì ch'io vorrei morire"

Claudio Monteverdi



Il madrigale è un genere musicale che ebbe una lunga fortuna, che iniziò intorno al 1530 e perdurò per tutto il secolo esaurendosi nel II decennio del '600.
L'esempio scelto è tratto dal IV libro di madrigali di Claudio Monteverdi, pubblicato a Venezia nel 1603.
Il madrigale è un genere musicale che veniva eseguito nelle corti per diletto privato e veniva cantato, molto spesso, dagli stessi cortigiani. 
Era una composizione molto complessa sul piano percettivo, la cui comprensione più piena si aveva se tutte le parole del testo e tutti gli intrecci musicali potevano essere ben eseguiti. Inoltre, essendo cantato nelle corti italiane del '500, il madrigale favorì la fortuna degli stampatori, soprattutto veneziani, che sulla scia di Ottaviano Petrucci si moltiplicarono, lasciando un'eredità quantitativamente immensa di musica di questo genere.
C.Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643) intorno agli anni '90 fu al sevizio di Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, il quale, amante delle lettere e delle arti, aveva fatto della sua corte un centro culturale fra i più vivi d'Italia.
Il IV libro di madrigali è testimone della civiltà musicale di questa corte ma è dedicato all'Accademia degli Intrepidi di Ferrara, a cui , però, apparteneva il Principe Gonzaga da cui Monteverdi dipendeva.
Anche la corte ferrarese era singolarmente stimolante, piena di iniziativa, pervasa da quella volontà di sperimentazione che caratterizzava anche l'ambiente mantovano. Infatti, dal punto di vista musicale, verso la fine del '500, Ferrara aveva conquistato una fama europea per un gruppo di cantatrici  (denominate, appunto, "dame ferraresi"), da tutti apprezzate per le proprie capacità vocali.
Bisogna ricordare inoltre che siamo in piena epoca di Controriforma, di rigido moralismo, di persecuzione dei nemici della religione, cioè di un'epoca estremamente rigorosa sul piano del costume.
Ma questo periodo è caratteristico anche per la forza e per la virulenza con cui inconsciamente si sfugge a questo rigido moralismo, soprattutto nella vita di corte.
In questa situazione storica fioriscono madrigali molto interessanti tra i quali bisogna annoverare questo di Monteverdi.
Il rapporto che questo compositore instaura  con il testo è il rapporto molto vivo e basato su quegli aspetti di "imitazione reale".
In questo caso aspetti di vario tipo: di mimica corporea e gestuale.

Il testo è di Maurizio Moro:

Sì ch'io vorrei morire,
ora ch'io bacio, amore,
la bella bocca del mio amato core.

Ah cara e dolce lingua
datemi tanto umore
che di dolcezza in questo sen m'estingua.

Ah vita mia, a questo bianco seno
dà stringetemi finch'io venga meno
Ah bocca, ahi baci, ahi lingua torno a dire.
Sì ch'io vorrei morire.

Monteverdi riprende lo schema classico di tutta la polifonia del '500, 
cioè segmenta il testo nelle sue frasi costituenti e su ciascuna costruisce un episodio musicale. in altri termini, ogni verso, ogni emistichio, viene considerato come unità semantica.
Inoltre nel madrigale si verifica che i teorici dell'epoca definivano il "fuggir la cadenza", cioè. le varie voci cominciano una dopo l'altra e nel punto in cui cadenzano, inizia un'altra voce.
Le modalità d'uso delle altre voci erano fondamentalmente due:
1)le voci entrano singolarmente con procedimenti ad imitazione;
2)le voci procedono cantando tutte le stesse sillabe (procedimento omoritmico).
Monteverdi accetta questa tradizione, ma usa anche voci singole, invece che in polifonia: una logica, questa, che va verso il canto solistico, quasi teatrale.
In sostanza dietro il canto di Monteverdi si intravedono dei gesti quasi di recitazione, da teatro. Infatti Monteverdi cerca di teatralizzare il madrigale, di renderlo più vicino ad una espressione solistica e quindi gestual-teatrale.
Il commento di questo testo del madrigale monteverdiano viene fatto sulla base dei principi dell'estetica del madrigale cinquecentesco, in cui il rapporto tra la musica e il testo è molto stretto e in cui il rapporto tra la musica e il teatro è molto stretto e in cui la musica si assumer il compito di "imitare" la parola.
"Sì ch'io vorrei morire" viene ripetuto diverse volte. Questa ripetizione enfatica delle parole non è un'invenzione monteverdiana, ma fa parte della tradizione del madrigale.
Inoltre nel primo verso la declamazione utilizza una "imitazione della parola" tipica del madrigale: la linea melodica scende precipitando verso il basso. le potenzialità spaziali qui vengono utilizzate per "significare" il senso di caduta che è connesso con l'idea della morte.
Altro aspetto molto interessante è che la musica non imita sempre i concetti verbali: infatti, in questo caso, la musica assume un ruolo di tipo retorico che si rifà alla tradizione alto-colta europea che va dagli ultimi secoli del Medioevo fino all'epoca umanistica. un discorso di quella che presso gli antichi Greci e Romani si chiama Ars Retorica, l'arte di parlare, il modo migliore per costruire un discorso ben fatto e persuasivo.
Questa retorica era stata codificata  e trattata soprattutto dai Greci che attribuivano a questa capacità un'importanza elevatissima. in altri termini il saper parlare  era un'arma grazie alla quale si poteva trascinare la folla alle proprie posizioni. L'Ars Retorica aveva un'importanza pratica  per l'antica Grecia e ha assunto un quantità di cose che poi sono rimaste nella cultura medioevale e rinascimentale.
I teorici di quest'ultima epoca si sono interessati alla retorica e hanno messo in evidenza una serie  di riflessioni sulle possibili interferenze tra strutture musicali e strutture verbali. Questi aspetti cominciano ad emergere lentamente nel '400 con Dufay, e con Monteverdi sono già tecnica acquisita.
Il musicista imitando con la musica i modi espressivi dell'intonazione verbale utilizza, appunto, un artificio retorico. L'alzarsi e l'abbassarsi
della voce, il pronunciare le parole con maggiore o minore energia, il pronunciare più o meno lentamente o più o meno velocemente la sillaba, fa parte degli artifici che l'oratore usa nei suoi discorsi e la musica cinquecentesca, in particolare la musica profana, li ha trasposti e stilizzati nelle sue tecniche e li usa a piene mani nell'epoca di Monteverdi. Imitazione della parola vuol dire, in questo caso, del modo con cui le parole verrebbero pronunciate se venissero recitate o declamate.
Si nota quindi come la retorica verbale e l'imitazione della parola si intrecciano con il resto:
versi 4-6: è la parte più coinvolgente sul piano erotico di tutta questa poesia. Nel verso 4 le voci si rincorrono secondo il classico procedimento imitativo che qui viene mescolato con altre tecniche: oltre l'imitazione, alcune voci dicono, usando una certa melodia, certe parole, mentre contemporaneamente le altre voci, usando una melodia diversa dicono parole diverse. E' un procedere a dialogo o a contrapposizione. In questo caso: alcune voci ripetono  l'esclamazione "Ah", mentre altre dicono "cara e dolce lingua";
versi 7-9. la parola "stringetemi", che presenta l'imitazione del gesto, è intesa in due modi:
1) il modo di tipo ritmico, il modo con cui le parole  vengono pronunciate; la pronuncia è più stretta  nel senso che  le sillabe sono più affollate in uno spazio di tempo ridotto (stringere= parole strette).
2) Il procedimento di dissonanze che risolvono, ossia di piccoli urti, di avvicinamenti e di allontanamenti tra le voci, che sono una metafora dello "stringere" (stringere=urtare). 
A ragione Monteverdi è stato definito il creatore della musica moderna. sia nei suoi scritti di poetica sia in tutta la sua produzione, Monteverdi afferma una concezione della musica essenzialmente come fatto espressivo, come mezzo per rivelare nella loro più vibrante e icastica dimensione gli "affetti" dell'animo umano.















Giacinto Scelsi. Il "cuore" del suono.

Giacinto Scelsi


Giacinto Scelsi (La Spezia 1905-Roma 1988), pur senza vincere l'ostracismo degli ambienti accademico-musicali italiani, s'impose per uno stile ascetico, sintesi della musica orientale e delle tecniche dell'avanguardia.
Il pensiero musicale di Scelsi trova il suo nucleo essenziale e il suo pensiero generativo nel suono singolo Raggiunge il "cuore" del suono, sprofondando nel suo universo e nella sua materia senza volervi sovrapporre un costrutto.
Così scrive: 
"La mia musica non è né questa né quella, non è dodecafonica, non è puntilista, non è minimalistica...Cos'è allora? Non si sa. Le note, le note non sono che dei rivestimenti, degli abiti. Ma ciò che c'è dentro è generalmente più interessante, no? Il suono è sferico, è rotondo. Invece lo si ascolta sempre come durata e altezza. Non va bene. Ogni cosa sferica ha un centro: lo si può dimostrare scientificamente. Bisogna arrivare al cuore del suono: solo aloora si è musicisti, altrimenti si è solo artigiani. Un artigiano della musica è degno di rispetto, ma non è né un vero musicista né un vero artista. [...] Non avete idea di cosa sia un suono! Vi sono di contrappunti (se si vuole), vi sono sfasamenti di timbri diversi, armonici che producono effetti del tutto diversi fra loro, che non solo provengono dal suono, ma che giungono al centro del suono; vi sono anche movimenti divergenti e concentrici. Esso allora diventa grandissimo, diventa una parte del cosmo. anche se minima c'è tutto dentro. [...] Ribattendo a lungo una nota essa diventa grande, così grande che si sente sempre più armonia  ed essa vi si ingrandisce all'interno, il suono vi avvolge. Vi assicuro che è tutto un'altra cosa: il suono contiene un intero universo, con armonici che non si sentono mai. Il suono riempe il luogo in cui vi trovate, vi accerchia, potete nuotarci dentro. [...]Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco si è inghiottiti e non si ha bisogno di altro suono. [...]Tutto è là dentro, l'intero universo riempe lo spazio, tutti i suoni possibili sono contenuti in esso.


da:P.A. Castanet, N.Cisternino (a cura di), Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono, Lunaeditore, La Spezia 1993, pp.19-25