Jacob Clemens non Papa





[...] Fecondissimo compositore fu Jacob Clemens non Papa (1510 ca.-1556 ca.), il cui soprannome servì a distinguerlo da un piccolo poeta, Jacobus Papa, che viveva come lui a Ypern. Nei mottetti -.sono più di duecentotrenta - circola una celata inclinazione esoterica, anche eterodossa riguardo all'aspetto religioso, cifrata nel cromatismo segreto implicito nella scrittura.
Ckaudio Gallico, L'età dell'Umanesimo e del Rinascimento, Storia della musica, E.D.T., Torino 1984, p.38



Cajkovskij. Schiaccianoci, balletto in 2 atti e 3 quadri, 1892. op.71





Lo Schiaccianoci, terzo e ultimo balletto di Cajkovskij, racchiude alcune fra le più belle pagine orchestrali del compositore: furono selezionati 8 brani sotto forma di una Suite d'orchestra. Coreografo fu il francese Marius Petipa.
Lo Schiaccianoci riprende il tema di un racconto fantastico di Hoffmann, nella traduzione francese di Alessandro Dumas padre, Casse-noisette et le roi des souris (Schiaccianoci e il re dei sorci).
Il soggetto si svolge in una piccola cittadina tedesca durante una festa popolare. Tutti i bambini ricevono regali: anche Clara ha in dono uno schiaccianoci a forma di nanetto, che alcuni bambini per dispetto rompono.
La sera, mentre a letto rimpiange il suo giocattolo, la bimba vede a poco a poco il salone tramutarsi in un luogo incantato. Grossi topi entrano da ogni parte; le bambole scendono dall'albero di Natale e danno battaglia ai topi. Le bambole stanno per soccombere, quando, ad un tratto, guidata da Schiaccianoci, entra l'armata dei soldatini di piombo. Schiaccianoci lotta intrepidamente e quando il Re dei topi sta per trafiggerlo, Clara interviene in suo aiuto.
Schiaccianoci diventa allora un affascinante principe e trasporta in volo la bimba nel regno dei dolciumi. Una grande festa è organizzata in loro onore: un meraviglioso Valzer dei fiori chiude nella gioia universale l'avventura di Clara e il balletto.
Il conclusivo Valzer dei fiori sembra dettato da una più appassionata partecipazione emotiva. Dopo un attimo di silenzio, gli archi attaccano il caratteristico ritmo del valzer: la melodia entra solo alla quinta battuta, ed è affidata alla cantabilità romantica e dolce di tre corni, cui risponde il timbro più acidulo del clarinetto. 
L'episodio si sviluppa per una trentina di battute, poi con slancio irresistibile.entrano i violini che portano le note trascinanti del valzer.
Su questi elementi, dosati con maestria, la pagina continua a lungo e solo verso la fine si appanna lievemente in una perorazione che segna una piccola escursione nel patetico!




Arnold Schonberg






Le composizioni con dodici note


"Il metodo di composizione con dodici note è nato da una necessità. Negli ultimi cento anni, lo sviluppo del cromatismo ha radicalmente trasformato il concetto di armonia. L'idea che una nota base, la fondamentale, dominasse la costruzione degli accordi e ne regolasse la successione -ossia il concetto di tonalità- dovette dapprima svilupparsi nel concetto di tonalità estesa, per giungere, subito dopo, a mettere in dubbio la stessa possibilità di quella fondamentale a essere considerata ancora il centro di riferimento di ogni armonia e successione armonica. Di più, si dubitò persino che una tonica posta all'inizio o alla fine, o in qualsiasi altro punto, avesse realmente un significato costruttivo. L'armonia di Wagner aveva provocato un mutamento nella funzione logica e costruttiva dell'armonia di cui il così detto uso impressionistico delle armonie, praticato soprattutto da Debussy, fu una conseguenza. Prive di funzioni costruttive, le armonie debussyane hanno spesso soddisfatto un intento coloristico volto ad esprimere stati d'animo e immagini: immagini e stati d'animo che, pur d'ordine extramusicale, divennero elementi costruttivi incorporati nelle funzioni musicali e determinarono una specie di comprensibilità puramente emotiva. A questo punto, la tonalità poteva già dirsi detronizzata, almeno in pratica se non in pratica se non in teoria, perché tutto ciò da solo non avrebbe portato a un mutamento radicale nella tecnica compositiva. Esso infatti divenne indispensabile allorché si avviò una contemporanea evoluzione destinata a concludersi con quella che io chiamo l'emancipazione della dissonanza.[...] Il termine emancipazione della dissonanza significa [...] che la comprensibilità della dissonanza viene considerata equivalente alla comprensibilità della consonanza. Uno stile che dunque si basa su simili premesse tratta la dissonanza allo stesso modo della consonanza, e rinuncia a un centro tonale. Naturalmente evitando di stabilire una tonalità si viene a escludere la stessa modulazione, poiché modulare vuol dire abbandonare una determinata tonalità per entrare in un'altra".
da: A.Schonberg, Stile e idea, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 106-108









Gustav Mahler





Il mondo della sinfonia mahleriana.


"L'idea più volte ripetuta da Mahler, che la sinfonia dovesse abbracciare un intero mondo, aveva in sé forti implicazioni anticlassiche, anzi, francamente eversive, per le spregiudicate aperture che comportava, ma soprattutto per il modo in cui venivano fatti convenire materiali colti e non, delle più diverse provenienze. In quel mondo potevano convergere ed essere accolti, in senso diretto o reale, molti aspetti e problemi del sinfonismo postbeethoveniano: le eredità di Schubert e Bruckner, alle quali per prima pare naturale ricollegare l'esperienza sinfonica di Mahler, ma anche certe laceranti tensioni di Schumann, l'irrompere del "brutto" nei momenti demoniaci di Berlioz e Liszt e naturalmente Wagner. Ma vi trovano posto molte altre cose e non soltanto di origine sinfonica o teatrale (non esclusa l'operetta), marce militari o funebri, danze di vario genere, canti popolari, fanfare, segnali, "suoni della natura", vocaboli che sembrano appartenere a un paesaggio interiore, a una personale sfera della memoria da cui traggono significati irripetibili. [...] Il virtuosismo della costruzione compositiva si esercita non su un vuoto di invenzione, come fu più volte rimproverato a Mahler, ma su materiali a lui necessari per dar voce ad un universo carico di inquietudini, interrogativi, insicurezze: di ben altro vuoto si tratta. Così come il gigantismo, le dilatazioni formali non sono frutto di vacua prolissità: l'eloquenza di Mahler sembra spesso simile al silenzio scelto dal Lord Chandos di Hofmannsthal, cui le parole astratte si sfacevano nella bocca come funghi ammuffiti. La complessità, l'organizzazione e le fratture, le tensioni, lacerazioni o ambivalenze del denso fluire, dilatarsi e gesticolare degli organismi sinfonici mahleriani rivelano con quel silenzio affinità maggiori di quanto la prima impressione e l'energia stessa della sua ansia demiurgica potrebbero far pensare"
da: P.Petazzi, Le sinfonie di Mahler, Marsilio,Venezia 1998, pp.XI-XII