Antonio Vivaldi. Concerto per flauto traverso ed archi "La Notte", 1730.




Pubblicati verso il 1730, i 6 Concerti per flauto traverso op.10, di cui i primi tre portano titoli descrittivi (La Tempesta, La Notte, Il Cardellino) sono stati scritti per un'orchestra di fanciulle che Vivaldi dirigeva a Venezia sin dal 1716, presso l'Ospedale della Pietà, ospizio per trovatelli, ove le allieve più dotate ricevevano un'educazione musicale di livello assai elevato. 
Il carattere sperimentale di molti concerti di Vivaldi e le regole tecniche imposte ai solisti di ogni strumento rivelano che queste opere erano destinate a virtuosi di primo piano.
La ripartizione dei movimenti di quest'opera si avvicina a quella adottata da Corelli o da Handel nei Concerti Grossi che non al modello tripartito vivace-lento-vivace quasi sempre seguito da Vivaldi.
La Notte, infatti, comprende sei movimenti che si concatenano cambiando ogni volta tonalità. Il primo, un Largo, in cui il flauto e gli archi suonano all'unisono, precede un Presto dal sottotitolo Fantasmi, la cui atmosfera, fantastica, è ottenuta grazie all'utilizzo di modi inconsueti (scale minori ascendenti senza alterazioni). Segue poi un secondo Largo, poi un secondo Presto molto ritmato.Il quinto movimento, un Largo, porta un sottotitolo: Il Sonno: il letargo preannunciato è reso con un ritmo rallentato (lo strumento solista e gli archi in sordina sono trattati in valori lunghi) e un timbro velato (il flauto è raddoppiato dai primi violini). Un Allegro conclude il concerto.
I due sottotitoli di questa composizione notturna, ne spiegano la struttura, particolare, in dei episodi: La Notte sarebbe più un concerto deformato dal sogno che un concerto italiano vero e proprio.
Ma questo concerto -come gli altri cinque dell'op.10- è notevole anche per il modo in cui allarga le possibilità dello strumento solista.
Nota: esiste un altro concerto di Vivaldi, La Notte, ma lo strumento solista è un fagotto.  






      

Arcangelo Corelli. Dodici concerti grossi per due violini, violoncello e archi, 1682. Op. 6





Nel 1712 Corelli pubblica la sua sesta ed ultima raccolta che, come tutte le precedenti, comprende dodici brani.
Ma l'inizio della loro composizione risale almeno al 1682, poiché si ha la testimonianza di alcuni musicisti contemporanei, fra cui G.Muffat, che dicono di averli ascoltati già a quell'epoca. Questa testimonianza avvalora la tesi secondo la quale Corelli deve essere considerato l'inventore di questa forma.
Questo primo grande ciclo di concerti grossi sorprende per varietà di costruzione e molteplicità di combinazioni orchestrali.
I primi otto si avvicinano maggiormente ai trii e alle sonate da chiesa e gli ultimi quattro a composizioni cameristiche, ma si deve soprattutto osservare che ognuno di essi è composto da 4 a 6 movimenti, la cui successione non obbedisce a una struttura ben definita.
Il loro titolo si limita ad evocare una serie di danze ( preludio, allemanda,, giga, sarabanda, gavotta, minuetto...) e il loro tempo può essere vivace, lento o moderato. L'adozione da parte di Corelli di queste disposizioni variate, invece della forme tripartita vivace-lento-vivace, è dovuta all'influenza della musica drammatica. Quest'ultima è infatti più ricca di peripezie che non l'astratta sinfonia e, pertanto, meno esigente quanto a simmetria.
Circa la diversità delle combinazioni orchestrali, essa è dovuta anzitutto alee modalità di ripartizione degli interventi fra il gruppo dei tre strumenti solisti (il concertino) e l'insieme dell'orchestra (il ripieno). Infatti il passaggio da un gruppo all'altro non risulta mai da un'alternanza meccanica, ma da rapporti sapientemente equilibrati. Questa diversità riguarda poi il trattamento degli stessi strumenti solisti, i due violini e il violoncello. Viene adottata una pluralità di soluzioni: ai due violini sono affidate parti di eguale importanza, oppure uno di essi tende a diventare solista; talvolta al violoncello il primo ruolo.
Dei dodici concerti, l'ottavo -Concerto per la notte di Natale- , è considerato il più bello, soprattutto grazie alla pastorale finale.



Al centro del suono.




La mia musica non è né questa né quella, non è dodecafonica, non è puntilista, non è minimalista...Cos'è allora? Non si sa. Le note, le note non sono che dei rivestimenti, degli abiti. Ma ciò che c'è dentro è generalmente più interessante, no? Il suono è sferico, è rotondo. Invece lo si ascolta sempre come durata e altezza. Non va bene. Ogni cosa sferica ha un centro: lo si può dimostrare scientificamente. Bisogna arrivare al cuore del suono: solo allora si è musicisti, altrimenti si è solo artigiani. Un artigiano della musica è degno di rispetto, ma non è né un vero musicista né un vero artista. [...]  non avete idea di cosa sia un suono! Vi sono dei contrappunti (se si vuole), vi sono sfasamenti di timbri diversi, armonici che producono effetti del tutto diversi fra loro, che non solo provengono dal suono, ma che giungono al centro del suono; vi sono anche movimenti divergenti e concentrici. Esso allora diventa grandissimo, diventa una parte del cosmo, anche se minima: c'è tutto dentro[...] Ribattendo a lungo una nota essa diventa grande, così grande che si sente sempre più armonia ed essa vi dsi ingrandisce all'interno, il suono si avvolge. Vi assicura che è tutto un'altra cosa: il suono contiene un intero universo, con armonici che non si sentono mai. Il suono riempe il luogo in cui vi trovate, vi accerchia, potete nuotarci dentro. [...] Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco si è inghiottiti e non si ha bisogno di altro suono. [...] Tutto è là dentro, l'intero universo riempe lo spazio, tutti i suoni possibili sono contenuti in esso.

da: P.A.Castanet, N.Cisternino (a cura di), Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono, Luna editore, La Spezia 1993, pp. 19-25



L'avvento del pianoforte.



Il clavicembalo già in uso nel XIV secolo e fiorentissimo fino alla metà del Settecento, e il clavicordo, noto dal XV secolo e usato fin quasi alle soglie dell'Ottocento, sono figli di nessuno. Il pianoforte, strumento moderno, strumento illuministico, no. Il pianoforte ha un padre incontestato oltre che vari illegittimi pretendenti alla paternità. Il padre si chiama Bartolomeo Cristofori, nato a Padova il 4 maggio 1655, cembalaro al servizio del principe Ferdinando de' Medici, in Firenze, dal 1688 o 1689. [...]on risulta che Handel, alla corte di Firenze tra il 1706 e il 1707, s'appassionasse al nuovo strumento. [...] Johann Sebastian Bach non s'occupò del pianoforte [...]. Se il vecchio Johann Sebastian era costretto ad improvvisare un Ricercare su uno strumento a tastiera che non gli andava in taglio, un altro Bach c'era che meno ancora poteva permettersi di snobbare il pianoforte: suo figlio Carl Philipp Emanuel [...]. Spirito aperto, curioso e meditativo, Carl Philipp Emanuel tenne sì conto del pianoforte: i suoi interessi di strumentista e di musicista lo portavano piuttosto a preferire il clavicordo. [...]. In Mozart il rapporto tra idea musicale e la sua realizzazione sonora è immediato e l'invenzione musicale nasce insieme con l'invenzione sulla tastiera del pianoforte; perciò Mozart si esercitava pochissimo e non si preoccupava troppo del paziente raffinamento dell'esecuzione. [...] Per Mozart, come poi per Chopin, il rapporto musica-mano-tastiera è di completa identificazione.

da:P.Rattalino, Storia del pianoforte,Il Saggiatore, Milano 1988