Concilio di Trento







Nel settembre 1562 la ventiduesima sessione del Concilio di Trento delibera su la musica sacra in Chiesa:


Tutto deve essere regolato in modo tale che, sia che le messe si celebrino parlando sia cantando, ogni cosa, chiaramente ed opportunamente pronunciata, scenda dolcemente nelle orecchie e nei cuori degli uditori. Quanto alle cose che si suole trattare con musica polifonica o con l'organo, nulla vi deve essere di profano in esse, sì soltanto inni e divine lodi [...] In ogni modo, tutta questa maniera di salmodiare in musica non deve essere composta per un vacuo diletto delle orecchie, bensì in modo tale che le parole siano percepite da tutti (ut verba ab omnibus percipi possint), affinché i cuori degli ascoltatori siano conquistati dal desiderio delle armonie celesti e dal gaudio della contemplazione dei beati [...] Espellano dalla chiesa quelle musiche, nelle quali sia tramite l'organo sia tramite il canto, si mescoli alcunché di lascivo e di impuro [...] sì che la casa di Dio sembri e possa esser detta veramente la casa della preghiera.

E nell'indirizzo finale della venticinquesima sessione il vescovo Girolamo Ragasani dichiarava:

[...]così cancellaste ogni superstizione, ogni traffico lucroso, ogni irriverenza dalla celebrazione divina delle messe [...] eliminaste i canti e i suoni troppo molli (molliores cantus et symphonias), le passeggiate, i colloqui, le negoziazioni, dal tempio del signore.




Il dramma liturgico.









  Il testo di questo dramma liturgico narra un episodio successivo alla morte di Gesù che non si trova nelle Sacre Scritture: le tre Marie, giunte davanti al sepolcro, lo trovano vuoto e ricevano da un angelo la notizia della Resurrezione.
Infatti il Quem queritis è un tropo, che volendo inventare nuove parole adattandole a una melodia gregoriana, attinge a quel patrimonio di narrazioni, vicende e riflessioni che era sorto accanto al grande corpo liturgico, spesso di carattere aneddotico e popolare.
E così come faceva la pittura, inventando scene ambientate in luoghi del tutto riconoscibili, anche il tropo tentava la strada semplice e diretta del dialogo, la più comprensibile da parte dei fedeli.
Naturalmente, in un primo tempo questi dialoghi elementare non ebbero affatto bisogno di una forma di esecuzione dialogica: il tropo di Pasqua poteva essere intonato da un solista o da un gruppo di cantori, senza la preoccupazione di distribuire in qualche modo i ruoli drammatici.
In seguito la stessa semplicità del discorso suggerì l'idea di separare il coro in due semicori, o di affidare il dialogo a due solisti; poi forse, la domanda delle tre Marie venne affidata a tre solisti e le risposte dell'angelo a un solista, e da qui non fu difficile aggiungere un minimo di costume e di movimento e a inquadrare il tutto nell'ambiente scenico della chiesa, o ancor meglio all'esterno: non è un caso che il primo è più diffuso tropo dialogico fosse quello legato alla Pasqua, cioè alla prima festa primaverile.
Era così aperta la nuova e feconda strada del dramma liturgico. E una volta aperta la strada, la fantasia poteva correre liberamente in una tematica vastissima, sia nella creazione di spunti drammatici liberamente inventati sulla base di semplici suggerimenti contenuti nelle Scritture, sia nella complessità della realizzazione.
La liturgia della Pasqua offrì una materia vastissima e il Quem queritis venne ampliato con l'aggiunta degli apostoli Pietro e Giovanni, anch'essi giunti al sepolcro vuoto, con il pianto delle tre Marie e con la successiva apparizione di Gesù risorto a Maria Maddalena.
Vennero, poi, creati nuovi drammi come quello ricavato. dal Vangelo di Luca intorno al viaggio dei discepoli a Emmaus, accompagnati da uno sconosciuto che poi si rivela essere Gesù risorto.





J.Pachelbel. Canone in D major









Johann Pachelbel (1653 - 1706), dopo gli studi a Norimberga, fu organista a Vienna e in diverse città e corti tedesche.
Interessanti sono le sue suites per clavicembalo (1683), che per la disposizione progressiva delle varie tonalità in cui furono scritte (do maggiore, do minore, re maggiore, re minore, ecc.), precorrono il bachiano Clavicembalo ben temperato.
Ascoltiamo insieme questo stupendo canone.





Tropi e Sequenze.







Non è facile definire il tropo e la sequenza, se non riferendosi al fitto che, in ogni caso, si tratta di un "interpolazione", di un'aggiunta di un elemento Un'interpolazione di musica, per esempio un melisma era fatto allo scopo di dare maggiore spazio a frasi musicali che sembrava riscuotessero l'interesse dei fedeli.
Il processo era quello tradizionale, utilizzando cioè delle formule ben conosciute, che però in questo caso potevano avere anche ampio respiro.
L'interpolazione riferita al testo ebbe invece altra natura: di fronte alla ricchezza via via crescente dei melismi, si pensò di applicare alle molte note che si dipanavano  sopra una sola o poche sillabe un nuovo testo. Nacquero così per interpolazione testuale ampie composizioni, del tutto note per chi era abituato ad ascoltare quei melismi, ma del tutto nuove dal punto di vista testuale. Tuttavia, poiché, la difficoltà di adattare un testo a una linea melodica preesistente doveva essere notevole, non mancarono gli adattamenti e le piccole notifiche musicali, la cui entità non è oggi accertabile.
I tropi vennero creati soprattutto sui melismi del Kyrie , e uno dei più antichi autori fu il monaco Tutilone (morto nel 915) del monastero di San Gallo in Svizzera.
Un altro tipo di tropo venne creato sui lunghi melismi dell'Alleluia, e questo è noto col nome di sequenza, poiché assunse una forma astrofica; la prima diffusione è dovuta al monaco Notker Balbulus (840 ca.-912), anch'egli del monastero di San Gallo.
Altri centri di diffusione di tropi e sequenze furono l'Inghilterra, la Francia occidentale, soprattutto a Limoges, la Spagna.