Filippotto da Caserta







L'idea del progresso e del continuo perfezionamento è saldamente affermata nella cultura musicale del '300.
Filippotto da Caserta, compositore e teorico italiano, era attivo anche in Francia e nel 1370 alla corte pontificia di Avignone 
 Rimangono di lui 6 ballate, 1 rondeau a tre voci, i trattati Regule contrapuncti e Tractatus de diversis figuris, particolarmente interessante per conoscere l'evoluzione della notazione musicale. ll prologo al Tractatus rivela il giudizio negativo che i musicisti della seconda metà del XIV secolo danno dei loro colleghi della precedente generazione. (CS III, pp.118-119):

 I maestri nostri antichi ebbero dapprima una intelligenza musicale piuttosto grossolana, come ancora nei mottetti degli stessi maestri, quali Tribum quem non abborruit e Rex Carole e in altri mottetti; però essi stessi in seguito raggiunsero uno stile più sottile e, abbandonato il primo, organizzarono in maniera più sottile la propria produzione, come appare in questo mottetto: Apta caro. Così noi che siamo venuti dopo e abbiamo inteso dapprima ciò che i maestri medesimi ci avevano lasciato, in seguito con lo studio abbiamo raggiunto maggiori sottigliezze, cosicché ciò che dai predecessori era stato tramandato imperfetto è stato perfezionato dai successori.












J.S.Bach Ventun corali del dogma, per organo, 1739,BWV 669-689








I Ventun corali del dogma nel 1739, costituiscono il coronamento della creazione di J.S.Bach in questo campo molto vasto, poiché Bach compose più di 150 corali per organo, alcuni dei quali sono stati riuniti in raccolta.
 Oltre alla raccolta del Dogma , si tratta dei 45 corali del piccolo libro d'organo BWV 599-644 (1717), dei 18 corali di Lipsia BWV651-688 (1747-49), antologia curata dallo stesso Bach e composta da rifacimenti di pagine anteriori, dei 6 corali Schubler (due punti sulla u) BWV 645-650 (1746) infine, che sono trascrizioni per organo di brani di cantate.
I Corali del dogma sono la sola serie dell'estrema maturità del compositore che si possa datare con certezza.  A questo insieme è possibile aggiungere inoltre le Variazioni canoniche su "Von Himmel hoch" BWV 769, composte nel 1747, perché si basano anch'esse su melodie di corale.
I Ventum corali del dogma appartengono al 3° volume, pubblicato da Bach, del suo Clavierubung (due punti sulla u)  (Esercizi per tastiera) volume che comprende inoltre quattro duetti strumentali e un Preludio e Fuga che fanno da cornice al tutto.
Questo insolito accostamento di brani liturgici e di brani da concerto è forse frutto di una simbolica numerica basate sul numero 3, emblema della Trinità (A titolo indicativo, il numero dei corali, 21, è uguale a 3 x 7, mentre il numero totale dei brani, 27, corrisponde a 33)   
Opera difficile, i Ventun corali del dogma sono la testimonianza di una grande complessità di scrittura. Le melodie dei corali luterani che Bach scelse di illustrare, a parafrasare, in ventun corali, sono dieci. Nove di questi cantici hanno due commenti musicali, uno, più complesso, scritto per organo a pedale, destinato ai "conoscitori"; l'altro più semplice, da eseguirsi solo su tastiera, per i "dilettanti". Ogni corale comporta quindi due versioni, una grande ed una piccola, eseguite una dopo l'altra. Un'eccezione a questa regola: la melodia di corale unita al Gloria è stata oggetto di tre adattamenti.
Dal punto di vista musicale, i Ventun corali del dogma  per la loro densità sono tipici del tardo Bach, ed alcuni dei "grandi" corali sono di una estrema audacia. Sovrapposizioni di strutture diverse, polifonie che arrivano sino a 5 voci, dissonanze e poliritmie vi si concatenano in effetti secondo lunghe tessiture continue per tutta la loro durata, Tutti fattori che non facilitano l'accostarsi ad una raccolta piuttosto ardua sia per gli ascoltatori che per gli esecutori, i quali devono dal canto loro ottenere un'indipendenza delle dita perfetta dal punto di vista tecnico.
Fra i brani più innovatori, sono da citare le 3 parti del grande Kyrie BWV 669-671, il grande adattamento del Corale dei dieci Comandamenti BWV 678, il Credo luterano BWV 680, e il Padre nostro BWV 682.









G.Paisiello. La Nina pazza per amore










Figlio del maniscalco di una casa patrizia, Giovanni Paisiello (1740-1786), lasciò la nativa Taranto grazie alla munificenza di due esponenti della nobiltà locale, colpiti dalle sue notevoli doti, per studiare musica a Napoli, al Conservatorio di Sant'Onofrio a Capuana, dove nel 1759 era già "mastriciello", allievo emerito che curava l'istruzione dei più giovani.
dopo aver composto della musica sacra e un intermezzo, iniziò una vera e propria attività di operista tra il 1764 e il 1766 a Bologna, Modena, parma e Venezia. Tornato a Napoli, vi si affermò soprattutto con L'idolo cinese, che aprì le porte della corte all'opera buffa e quelle degli ambienti culturali della città all'autore.
Dopo alcuni anni di intensa attività, culminati nella spassosamente farsesca Il duello e nella pungente satirica Socrate immaginario, nel 1775 fu chiamato a Pietroburgo dalla zarina Caterina II per succedere al Traetta come maestro di cappella e supervisore dell'opera italiana.Negli otto anni trascorsi in Russia realizzò numerosi lavori strumentali e lirici, tra i quali tre opere giocose: La serva padrona, sullo stesso libretto musicato da Pergolesi, il Barbiere di Siviglia, su libretto di Petrosellini tratto dalla commedia di Beaumarchais, e  "l mondo della luna, su testo di Goldoni.
Contrasti con l'ambiente musicale ed una malattia della moglie lo indussero sa ritornare a Napoli, passando per Vienna, dove nel 1784 diede, su commissione doi Giuseppe II, "Il re Teodoro in Venezia", opera che nella sua fusione di comicità e di malinconica dolcezza preludeva a Nina o La pazza per amore . opera in due atti, da Nine ou La folle par amour di Marsollier des Vivetières, rappresentata nel giardino della reggia di Caserta il 25 giugno 1789 con un successo che l'avrebbe accompagnata in tutta Europa fino al primo Ottocento, tanto da far dire che se "Nina era pazza per amore, il pubblico era pazzo per Nina".

Descrizione dell'opera

La straordinaria fortuna della Nina, iniziata fin dal suo primo apparire, perdurò anche nel primo Ottocento in tutta Europa. La celeberrima nenia dell'eroina, Il mio ben quando verrà...,e la dolcezza del suo smarrimento, più che pazzia, cui mestamente partecipano i familiari, serbò a lungo il suo fascino in un'epoca che votò all'oblìo tanta parte della musica operistica settecentesca.
Atto I. La cameriera Susanna (soprano) racconta l'antefatto: Nina (soprano) amava Lindoro (tenore), ma il padre (basso) accettò la richiesta di un pretendente più ricco; Lindoro, battutosi in duello col rivale, ebbe la peggio e venne creduto morto.
Da allora Nina è in preda a una dolce follia. Perduta ogni memoria che non riguardi Lindoro, passa le sue giornate in attesa dell'amato. Quando è trascorsa l'ora in cui egli era solito giungere, torna sospirando a casa, in attesa dell'indomani
Tutti, anche il pentito padre, disperano di veder guarita Nina, e solo il ballo Giorgio spera ancora.
Atto II. Torna Lindoro, guarito. Accolto come un figlio dal padre di Nina, si dedica pazientemente, anche se all'inizio un po' smarrito, a riportare l'amata alla ragione. Lentamente, infatti, Nina ritorna in sé e riconosce Lindoro tra le cui braccia si abbandona

Il mio ben quando verrà.
Nina soprano
 (dal'Atto I)
il mio bel quando verrà
a veder la mesta amica,
di bei fior s'ammanterà
La spiaggia aprica.
Ma nol vedo, ma sospiro
e il mio ben, ahimé, non vien.
Dentro all'aure spiegherà
la sua fiamma, i suoi lamenti;
mille, o augei, v'insegnerà
più dolci accenti.
Ma non l'odo! E chi l'udì?
Ah! il nio ben ammutolì.
Tu,cui stanca ormai gia fé
Il mio pianto eco pietosa,
ei ritorna e dolce a te
chiede la sposa.
Pian mi chiama, piano, ahimè!
No... non mi chiama. Oh Dio!non c'è!
Ma nol vedo...Ma sospiro...
Ahimé, non vien!...
Ah! ammutolì!Oh Dio! non c'è!
No...Oh Dio! Oh Dio! non c'è