E io: se nuova legge non ti toglie
memoria o uso dell'amoroso canto,
che mi solca quetar tutte le mie voglie,
d ciò ti piaccia consolare alquanto
l'anima mia, che, con la mia persona
venendo qui, è affannata tanto!
"Amor che nella mente mi ragiona"
cominciò elli allor sì docemente,
che la dolcezza ancor dentro mi sona.
Lo mio maestro e io e quella gente
ch'eran con lui, parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravamo tutti fissi e attenti
alle sue note [...]
Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, II, 106-119 /76-133
La morte non aveva privato Casella, musicista e amico di Dante, della "memoria" de canti, dell'uso, cioè della capacità di eseguirli, di quella dulcedo che deriva dal connubio del suono con la parola che il sommo poeta aveva reso così delicata e soave.
L'aria del Purgatorio, alle prime luci dell'aurora, così risuona nell'unico esempio di musica profana, citato nella Divina Commedia. Come omaggio al poeta, Pietro Casella (? - ca. 1300), di cui nessun brano ci è pervenuto in forma scritta, la poesia "Amor che nella mente mi ragiona", scritta in forma di canzone, la forma più illustre del componimento laico: poeti siciliani ripresero il modello della cansò provenzale, poi trasformata dagli stilnovisti per assumere una struttura definitiva ed esemplare con il Petrarca.
Infine lo stesso Dante scriveva nel De vulgari eloquentia - trattato sui pregi del volgare "illustre" - che la canzone è una forma creata per essere "vestita" dalla melodia.
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