Un poeta che dipingeva la canzone napoletana




Salvatore Di Giacomo nasce a Napoli il 13 marzo 1860 dal medico Francesco Saverio e da Patrizia Buongiorno, insegnante di musica al Conservatorio S.Pietro a Maiella.
Segue il tracciato curricolare dei ragazzi della media borghesia. Studia al liceo "Vittorio Emanuele"; nel 1878 si iscrive alla facoltà di Medicina per compiacere i desideri paterni, ma nell'ottobre del 1888 abbandona definitivamente quegli studi. Mentre avviava la collaborazione letteraria con novelle di carattere fantastico al Corriere del Mattino, nel 1881 fonda il Fantasio. Da qui in poi sceglie la strada della letteratura. Muore nel 1934.
Se la narrazione ed il dramma occupano quantitativamente la maggior parte dell'opera poetica, dove gli ambienti e i personaggi sono quelli di un cupo e amaro verismo: vicoli, dormitori pubblici, prigioni, i "bassi" in cui si svolgono vicende di violenza e di sangue, Di Giacomo è soprattutto autore dei migliori versetti che si abbiano in dialetto napoletano. Il poeta con istinto applica i canoni più significativi della pittura impressionistica di un Delacroix o di un Monet: la tecnica della divisione dei toni, dei colori, delle parole delle nette distinzioni tra le tinte pure e le tinte incupite, dell'irripetibilità delle sensazioni e dei momenti, della libertà da costrizioni semantiche precostituite, soprattutto se accademiche: In poesia gli esiti più alti, ottenuti con questa tecnica, sono nelle liriche più note: Marzo, Na tavernella, Pianefforte e notte. Croce scrive nel 1914, nella prefazione di Novelle Napoletane: "il Di Giacomo non esce poeta e novellatore da un gruppo di letterati che verseggiano e narrano, ma vien fuori dai pittori napoletani con i quali, e non con onori vari di letterato, gli piacque di convivere fin da giovane, per affinità di temperamenti...Chi penetra oltre la superficie, avverte nelle sue pagine i procedimenti del pittore che costruisce il quadro, ponendo i colori e distribuendo luci ed ombre".
Oltre aver scritto numerosi libretti derivati da suoi stessi lavori drammatici, , si è dedicato anche a studi storici sulla musica, è tra l'altro autore di Canzoni napoletane, tra cui famosissime A Marechiare, Spingola francese, musicate rispettivamente da F.P.Tosti e da P.De Lava, Assunta e Angelica musicate da I.Pizzetti, nasce dalle reazioni del suo cuore e del suo spirito nei confronti della donna di cui è innamorato.Infatti, nel 1905, l'amore unico e profondo, nutrito per Elisa, sostituisce i ricorrenti innamoramenti: se prima scriveva.:"Oggi sì tu, dimane forze n'ata sarà. E pò n'ata, chi sa si tiempe ce rimane. Vocchie celeste o nire, vore  e viglio e 'rose sempe,sempe una cosa, sempe 'e stesse  suspire1" ora scrive:"E' vero, è o vero, st'ammore è un pericolo per tutt'e duie!...E simmo abbandonate all'ombra! Sperdute int'o mistero!...Sì cammenammo ascuro...Sì, 'o ssaccio...Ma che fa?"
Ezechiele Guardassone,suo amico scrive (Napoli pittorica, Sansoni, Firenze, 1943): "Napoli amava il suo poeta che ebbe una popolarità diretta, spontanea, calda, soprattutto della povera gente dei bassi e dei vicoli; a me pareva, camminando con lui, che uscissero dalle vecchie case i motivi delle sue canzoni, come se gli venissero incontro per salutarlo. Di Giacomo aveva cantato con oro, per gli occhi neri e appassionati, per i versi di ruta e ortensia, per i terrazzini all'ultimo piano. Un'aria di rispetto affabile ed intelligente era nel saluto del cocchiere, dell'oste, della bottegaia, della fruttivendola, e Don Salvatore sorrideva a tutti con la sua faccia quadrata dagli occhi neri e lucenti. Queste scene facevano bene al suo temperamento malinconico, impressionabile, variabilissimo".