W. Shakespeare. "Nulla v'è di così insensibil..."






Nulla v'è di così insensibile, brutale o scatenato dalla rabbia che la musica, finché se ne prolunghi l'eco, non trasformi nella sua stessa natura. Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo. Nessuno fidi mai in un uomo simile.

William Shakespeare, Il mercante a Venezia, Atto V, Scena I (Lorenzo)



La Sonnambula





L'opera fu commissionata a Bellini dal duca Litta di Milano. Autore del libretto fu Felice Romani: In un primo momento il testo doveva essere tratto da Hermani opera di Victor Hugo, ma l'opposizione della censura austriaca nei confronti di un testo politicamente ambiguo, spinse il musicista ad abbandonare il progetto originario e a scegliere, su suggerimento di Romani, un soggetto più innocente di carattere pastorale ed idillico.
Il libretto fu così tratto da La Sonnambule ou L'arrivée d'un nouveau seigneur, un ballet-pantomine di Eugène Scribe e Pierre Aumer (1827), e da La Sonnambule, comédie-vaudeville dello stesso Scribe e Germain Delavigne (1819).
Con il concorso dello stesso Bellini, Romani apportò numerose modifiche al testo di Scribe, in particolare, a libretto già terminato, Bellini terminò l'agnizione conclusiva, laddove il conte Rodolfo si rivelava essere il padre naturale di Amina.
L'opera ritenuta la prima dei suoi tre capolavori e che, sin dalla prima rappresentazione ebbe grande successo, narra la storia dell'amore tra Amina e Elvino. La giovane Amina, pura come il paesaggio bucolico nel quale è ambientata la storia, ama Elvino di un amore profondo e sincero e soffre terribilmente quando viene accusata in modo ingiusto di infedeltà nei confronti dell'uomo.
La partitura traboccante di melodie memorabili sorrette da un'orchestrazione leggera, ma ricca di contrasti dinamici e coloristici, si espanse e si sostiene su fragili e disperati equilibri degli animi dei protagonisti: la melodia belliana, infatti, segue la tradizione del "bel canto" italiano, lasciando che la musica aderisca perfettamente valle esigenze drammaturgiche, equilibrando i recitativi ne le arie in una logica drammatica esatta e di mirabile semplicità.
La struggente forza dell'amore, l'affanno per la rincorsa del sentimento perduto rendono tanto struggenti le arie di Amina quanto complesse sia per l'interpretazione musicale sia per quella espressiva: il canto doloroso di Amina prima dell'inaspettato lieto fine.

Melodramma in 2 atti e 4 quadri.
Prima rappresentazione:
Milano, Teatro Carcano, 6 Marzo 1831



La siringa





La siringa, o flauto di Pan, è uno strumento popolare noto agli antichi greci e a vari popoli asiatici e sudamericani.
Consiste in una serie di canne di lunghezza decrescente, ordinatamente intonate secondo una scala, saldate l'una accanto all'altra in modo che le imboccature siano a parti livello. Si suona come l'armonica a bocca, facendo scorrere lo strumento sulle labbra e soffiandovi.
La leggenda narra che Siringa è una Amadriade arcade, che fu amata da Pan. Il dio la inseguì, e, nel momento in cui stava per afferrarla, ella si trasformò in una canna, sulle rive del fiume Ladone.
Dato che il vento, col suo soffio, faceva gemere le canne, Pan ebbe l'idea di unire con cera alcune canne di lunghezza diseguale. Fabbricò in tal modo uno strumento musicale, al quale diede il nome di siringa, in ricordo della ninfa.
Si racconta anche che vicino a Efeso si trovava una grotta, nella quale Pan aveva deposto la prima siringa.
Questa grotta serviva a mettere alla prova le ragazze che sostenevano di essere vergini. Vi si rinchiudevano, e, se esse erano realmente pure, si udivano uscire dalla grotta i suoni melodiosi d'una siringa. Ben presto, la porta si apriva spontaneamente, e la ragazza riappariva, coronata di pino. Nel caso contrario, si udivano grida funeree all'interno, e, quando dopo alcuni giorni la grotta veniva aperta, la ragazza era scomparsa.



Severino Boezio




"Solo chi ha con la musica un rapporto intellettuale è musicus, trae la propria denominazione dal nome della disciplina; chi ha con la musica un rapporto materiale, il citharedus, il tibicem, trae la propria denominazione dagli strumenti che adopera".
Così scriveva Boezio nel De institutione musica.
Insigne uomo politico, filosofo e matematico, Severino Boezio nacque a Roma verso il 480; divenuto console nel 510, fu in seguito consigliere di Teodorico re degli ostrogoti che lo fece improgionare e giustiziare per tradimento nel 524.
Il De institutione musica, in 5 libri (500-507), è l'unico trattato musicale giuntoci nella tarda latinità. Letto nei secoli successivi, divenne il punto di partenza per tutta la trattatistica medioevale.
Il punto di partenza di Boezio è Platone e la sua dottrina etica della musica: la musica è uno strumento educativo ed esplica i suoi effetti benefici e malefici a seconda dei "modi" usati:
In questa credenza Boezio si richiama anche alle più antiche leggende pitagoriche sugli effetti della musica; ma l'ispirazione pitagorica è di fondamentale importanza come fonte di conoscenza delle dottrine greche sull'armonia.
Il tema della superiorità della ragione sui sensi ritorna più volte nel De musica. La suddivisione in tre musiche, quella mondana, quella umana e quella degli strumenti, si fonda sulla svalutazione del lavoro manuale e di ciò che cade sotto i nostri sensi e il privilegiamento  della pura ragione.
La musica mondana, la prima nell'ordine di preferenza per Boezio è la musica delle sfere, teoria di derivazione pitagorica, e si identifica con il concetto stesso di armonia in senso lato. Il suono degli astri è un concetto astratto e come tale non solo non ha significato chiedersi perché non sia udito dai nostri sensi, ma il fatto stesso di non poter essere udita, indica la sua perfezione: la sua udibilità diventa un fattore secondario, dovuto all'imperfezione della natura umana, incapace di cogliere a pieno l'armonia cosmica.
La musica umana riflette nell'unione armoniosa delle varie parti dell'anima e nell'evoluzione dell'anima con il corpo, la musica delle sfere. La musica umana si comprende con un atto di introspezione, in quanto è l'armonia psicofisica che regna nell'uomo.
La valutazione negativa della musica strumentale appare chiara in Boezio, quando afferma che come in tutte òe arti, anche nella musica esiste la ragione che concepisce e progetta con conoscenza e la mano che esegue: la mano non può agire se non diretta dalla ragione, mentre la speculazione intellettuale è indipendente e autonoma rispetto ad una possibile realizzazione pratica.
Boezio, pur sottolineando una netta supremazia della ragione e della scienza della musica rispetto alla pratica della musica e pur riconoscendo la fallacia dei sensi, non esclude, tuttavia, il ruolo di quest'ultimi e li ritiene basilari per formulare una scienza e un giudizio dei suoni.
La supremazia della ragione non implica, quindi, secondo il trattatista romano, un totale rifiuto dei densi, ma la loro completa sottomissione.