Rossini e Stendhal






Il Barbiere il  di Siviglia di Rossini è un quadro di Guido: è la negligenza di un grande maestro: niente sa di fatica, di mestiere. E' un uomo di ingegno infinito senza istruzione di sorta. Un Beethoven che avesse di queste idee, che mai non potrebbe fare! Il tutto mi ha un po' l'aria di roba rubata da Cimarosa. Di assolutamente nuovo, nel Barbiere di Siviglia, trovo soltanto il trio del second'atto tra Rosina, Almaviva e Figaro. Però questo canto, invece di applicarsi a una decisione di intrigo, dovrebbe riferirsi a parole di carattere e di predeterminazione.
Quando il pericolo è vivo, quando un minuto può perdere ogni cosa o salvare ogni cosa, dà troppa noia sentir ripetere dieci volte le stesse parole. Questa assurdità necessaria della musica può essere scusata facilmente. Da tre o quattro anni a questa parte, Rossini compone delle opere nelle quali vi è solo un brano o due degni dell'autore di Tancredi e dell'Italiana in Algeri. Proponevo questa sera di riunire, in una sola opera, tutti questi splendidi brani. Preferirei aver composto il trio del Barbiere di Siviglia, piuttosto che tutta l'opera di Solliva, che a Milano mi piaceva tanto.





  

24 gennaio.Ammiro sempre più il Barbiere. Un giovane compositore inglese, che mi ha tutta l'aria di essere privo di genio, era scandalizzato dall'audacia di Rossini. Toccare un'opera di Paisiello! Mi ha riferito un esempio della sua noncuranza. Il brano più celebre dell'autore napoletano è la romanza: Io son Lindoro. Un cantante spagnolo, Garcia, credo, a proposto a Rossini un'aria che gli amanti cantano sotto le finestre delle loro belle, in Ispagna: la pigrizia del maestro ha fatto presto ad impadronirsene: niente di più freddo; è un ritratto messo in mezzo a un quadro storico.

Roma, 7 febbraio 1817. A Terracina, in quella locanda magnifica edificata da quel Pio VI che sapeva regnare, ci propongono di mangiare insieme coi i viaggiatori che arrivano da Napoli. Distinguono, tra sette e otto persone, un bellissimo uomo, un po' calvo, tra i venticinque e i ventisei anni. Gli chiedo notizie da Napoli e specialmente della musica: mi risponde con idee precise, brillanti e gradevoli. Gli chiedo se ho speranza di vedere ancora a Napoli l'Otello di Rossini: risponde sorridendo. Gli dico che a mio giudizio Rossini è la speranza della scuola italiana: è l'unico uomo che sia nato con una dose di genialità; e basa i suoi successi non sulla ricchezza degli accompagnamenti, ma sulla bellezza delle arie. Rilevo nel mio uomo una sfumatura d'imbarazzo; i compagni di viaggio sorridono: insomma, si tratta di Rossini in persona. Per fortuna e per un vero caso, non ho parlato né della pigrizia di quel bel genio né dei suoi numerosi plagi.
Mi dice che Napoli vuole una musica diversa rispetto a Roma; e a Roma, una musica diversa rispetto a Milano. Sono pagati tanto male! Devono correre ininterrottamente da un capo all'altro d'Italia e l'opera più bella non rende loro duemila franchi. Mi dice che il suo Otello ha avuto solo un mezzo successo, che va a Roma a dare una Cenerentola, e di là a Milano, per mettere in scena la Gazza ladra alla Scala.
Quel povero genio mi interessa profondamente. Non che non sia allegrissimo e abbastanza felice; ma che pensa che in questo infelice paese non si trovi un sovrano che gli faccia una pensione di duemila scudi, e lo metta in condizione di aspettare l'ora dell'ispirazione per scrivere! Come avere il coraggio per rimproverarlo se fa un'opera in quindici giorni? Scrive su una brutta tavola, al rumore della cucina della locanda, e con l'inchiostro fangoso che gli portano in un vecchio barattolo da pomata. E' l'uomo d'Italia al quale trovo più ingegno, e certamente egli non lo immagina; giacché in questo paese il regno dei pedanti dura ancora. Gli dicevo il mio entusiasmo per l'Italiana in Algeri; gli chiedo cosa preferisca, l'Italiana o Tancredi; mi risponde:"Il Matrimonio segreto è dimenticato a Parigi quanto le tragedie di Ducis. Perché non dovrebbe percepire un diritto sulle compagnie che recitano le sue venti opere? Egli mi dimostra che in mezzo al disordine attuale ciò non è nemmeno proponibile.
Restiamo a prendere del tè fino a mezzanotte: è la più piacevole delle mie serate in Italia; è l'allegria di un uomo felice. Mi separo alla fine dal grande compositore con un sentimento di melanconia. Canova e lui, ecco tuttavia, grazie ai governanti, tutto quanto possiede oggi la terra del genio. Mi ripeto, con una gioia triste, l'esclamazione di Falstaff: The live not three great men in England; and one of them is poor and grows old  (Enrico IV,p.I,a. II, sec. IV).


                                                                                Stendhal


da: Stendhal, Roma, Napoli e Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria.Laterza, Bari 1974. Traduzione di Bruno Schacherl