In epoca rinascimentale la musica assurgeva in Italia a elemento di cultura e diletto delle classi alte e medie ed aveva una parte importante nella vita privata: musicista era persino un filosofo raffinato come Marsilio Ficino; anche Leonardo, Benvenuto Cellini, Salvator Rosa erano bravi cantanti e suonatori.
Nonostante la grande diffusione della polifonia e le fortune editoriali del madrigale, della villanella, della canzonetta, una vocazione umanistica era quella di cantare, sempre in lingua "materna", ma improvvisando e accompagnandosi con uno strumento.
Baldassare Castiglione nel suo Cortigiano dichiara con entusiasmo di apprezzare l'arte di "cantare alla viola per recitare, il che tanto di venusità ed efficacia aggiunge alle parole, che è gran meraviglia".
Dove "alla viola", significa appunto con l'accompagnamento di viola da braccio o da gamba secondo quella prassi per cui il canto era un modo di "recitare" poesie aggiungendo "efficacia" alle parole.
Nelle corti di Firenze, Mantova,e Ferrara musicisti di fama , italiani o stranieri, vi trovano gentile e onorevole accoglienza. ne sono testimonianza i dipinti di Paolo Veronese e di Giorgione Bonifazio.
Con il matrimonio di Isabella d'Este e Francesco II Gonzaga nel 1490, la corte mantovana divenne il fulcro di un genere di mecenatismo assai ampio che abbracciava le lettere, le arti figurative e la musica.
Isabella era cresciuta a Ferrara, dove suo padre le aveva assicurato una completa educazione umanistica. Fin da piccola aveva studiato il latino: all'età di quindici anni era in grado di recitare i classici. inoltre aveva imparato a comporre versi in volgare da Antonio Tebaldeo.
Grazie alle sue lettere, sappiamo che era un'esperta musicista: sapeva suonare la cetra e aveva studiato il liuto con Angelo Testagrossa; cantava, ed era in grado di suonare gli strumenti a tastiera.
Mentre l'attenzione di Francesco era diretta verso la tradizionale banda dei "pifferi" e alla creazione di una cappella strumentale "alta" e, quindi, verso un repertorio di musica vocale sacra su testo latino, Isabella nel promuovere la musica vocale su testo italiano, era particolarmente interessata a coltivare la frottola e le forme ad essa affini.
Nel corso del penultimo decennio del Cinquecento, la vita musicale Ferrarese alla corte estense era dominata dal Concerto delle Dame che acquistò un'ottima reputazione attraverso l'Italia per le sue brillanti esecuzioni vocali in stile fiorito.
Le composizioni concepite per quella compagnia femminile sono caratterizzate da due o tre voci acute che si sciolgono in risalto dal gruppo. Contribuirono al loro repertorio Luca Marenzio, Gesualdo, Monteverdi, Luzzaschi, Wert.
Il complesso era formato da Lucrezia ed Isabella Bendidio, Laura Peperara, Anna Guarini, Livia d'Arco, Vittoria Bentivoglio, Leonora da Scandiano e da Tarquinia Molza che, nipote del poeta ed umanista Francesco Maria Molza, apparteneva ad una importante famiglia modenese.
A questa colta e raffinata poetessa e musicista -suonava con gran maestria la viola e il liuto- il padre Camillo procurò maestri di latino e di ebraico, di poesia, sposò Paolo Porrini che morì tragicamente nove anni dopo. Si trasferì a Ferrara, dama d'onore di Lucrezia Borgia e di Eleonora d'Este.
Era onorata da principi e da prelati: Alfonso II d'Estein persona in suo onore disputò un torneo ; il Tasso, che la conobbe durante il suo soggiorno a Modena del dicembre 1576, le indirizzò alcuni sonetti e madrigali e le dedicò il dialogo sull'amore intitolato La Molza.
Il primo a far menzione della sua partecipazione al "Concerto delle Dame" è il cronista ferrarese Trotti. Ebbe una relazione con Wert che fu smascherata a seguito di indagini ordinate da Alfonso d'Este
Era imperdonabile in una società così rigidamente strutturata, che una signora così ben nata fosse coinvolta in un rapporto del genere con un funzionario di corte, come sottolineava anche il rapporto di Laderchi al duca: "Jaches era povero fiammingo, stato ragazzo da cantar della Marchesa di Padulla et poi per lungo tempo servitore del Conte Alfonso della Nuvolara (Novellara).
La forma che ebbe enorme fortuna nell'ambito della cosiddetta "musica reservata", musica cioè riservata solo ai raffinati conoscitori aristocratici, signori delle corti e appartenenti a società culturali, fu il madrigale.
Il madrigale sorse in un clima culturale socialmente e spiritualmente determinato che coincideva con la riforma della lingua italiana voluta da Pietro Bembo (1470-1547) il cui merito fu quello di aver individuato nella poesia di Petrarca il modello estetico da seguire e la sua idoneità a ricevere la musica.
L'aspirazione del madrigale è quella di adeguare il suono alla musicalità delle parole, inoltre la musica non si limitava alla prima strofa, come nella frottola, ma copre l'intero brano.
La poesia madrigalesca predilige temi amorosi e e quelli volti ad esaltare il culto della donna o a idealizzarne le virtù, più tardi anche temi descrittivi e satirici.
Una scrittrice di madrigali, che si stamparono assieme a quelli dei maestri più celebri, fu Vittoria Aleotti di Ferrara, figlia dell'architetto G,B,Aleotti costruttore del Teatro Farnese a Parma.
Compositrice e clavicembalista, dimostrò talento musicale precocissimo. Studiò musica con Milleville e con Pasquini.
Ancor giovanissima entrò nell'ordine delle agostiniane di S.Vito a Ferrara.a quattordici anni aveva già composto un buon numero di madrigali a quattro voci, raccolti nella Ghirlanda de musici ferraresi (1591, id.)
Raffaella, come la sorella, entrata nel convento do S.Vito, dal 1593 diresse il "Concerto delle monache" che, sotto la sua guida, raggiunse il suo più alto livello di perfezione esecutiva.
Le fonti storiche ci testimoniano inoltre le singolari capacità artistiche di Raffaella come organista e come compositrice di musiche sacre e profane (non pervenute).
Vincenzo Gonzaga era senza dubbio un ammiratore del "Concerto delle Dame", dal momento che, non appena ascese al trono (1587), formò un simile complesso a Mantova.
Una cantante era Caterina Martinelli, detta la "Romanina" o"Caterinuccia". Studiò a Roma con Arrigo Gabbino. A tredici anni venne chiamata alla corte di Mantova e divenne allieva di Monteverdi che la ospitò per tre anni insieme con la sua famiglia.
L'affascinante Caterinuccia fu interprete ammirevole della Dafne di Marco Gagliano ed era stata designata per la parte di Arianna di Monteverdi.
L'Arianna fu rappresentata la prima volta il 28 maggio 1608 durante i preparativi: non mancarono i problemi.
In primo luogo il compositore stesso e il librettista erano stati costretti a rivedere l'opera ancora sul finire di febbraio, dopo che, nel corso di un loro incontro con Follini e lo scenografo Antonio Mario Viviana, la duchessa di Mantova aveva dichiarato di trovarla "assai asciutta".
Ma la più grave battuta d'arresto fu provocata dal caso della Martinelli, durante l'apprendistato aveva contratto il vaiolo, che la condusse a morte ai primi di marzo.
La vicenda per Monteverdi fu un duro colpo sia professionale che personale. Tutta la corte prese il lutto ed è indicibile il compianto per la perdita di questa diva di diciassette anni.
Alla fine Virginia Andreini fu in grado di imparare la parte del personaggio en titre e di condurla in porto con un discreto successo..
Virginia Ramponi Andreini recitava anche nella "Compagnia dei Fedeli", fondata dal marito Giovanni Battista Andreini, a sua volta figlio di Francesco ed Isabella Canali, notissimi attori della "Commedia dell'Arte".
G.B.Andreini pubblicò numerose tragedie e commedie tra cui la Maddalena, dramma sacro con musiche di Monteverdi, Effrem, Ghivizzani, Rossi (Mantova,1617).
Ritornando al complesso mantovano, altre tre cantanti che vi facevano parte erano la napoletana Lucrezia Urbana che era anche un'arpista, e le sorelle Pellizzari che erano state probabilmente ascoltate dal duca Guglielmo durante una visita all'Accademia Olimpica di Vicenza di cui lo stesso fratello delle Pellizzari, Antonio, ne era musicista e "custode".
Sembra che il matrimonio di Vincenzo Gonzaga con Margherita, figlia di Alessandro Farnese, governatore dei Paesi Bassi, abbia spinto suo padre, Guglielmo Gonzaga, a tentare di ingaggiare nuovi cantanti di fama consolidata, con lo scopo primario di impiegarli nei festeggiamenti nuziali.
Guglielmo Gonzaga prese sul serio questa idea, dal momento che le trattative furono affidate a due agenti di primo piano, Aurelio Zibramonte e Antonio Rizzi.
Il 2 marzo 1581 Guglielmo informò Zibramonte che Laura Bovio sarebbe stata una compagnia adatta per Margherita Farnese.
A dare informazione sulla giovane a Guglielmo,era stato Annibale Cappello, già cappellano del duca e poi passato al sevizio del cardinale Luigi d'Este, che cinque anni dopo ebbe pure un ruolo importante nei tentativi di persuadere il musicista Luca Marenzio a passare al sevizio dei Gonzaga.
Cappello, che doveva aver sentito la giovane cantare e suonare vari strumenti, la raccomandò per le mansioni di cui si è detto poc'anzi. Intanto Laura Bovio si trovava nel convento di S. Lorenzo, dove molti si recavano a sentirla cantare e suonare durante le funzioni della Settimana Santa.
In seguito ella trovò a Mantova ma per poco tempo, dato che non oltre il 1582 doveva già essere a Bologna; qui il compositore Camillo Cortellini le dedicò il suo Primo libro de' madrigali a cinque voci, nella cui Prefazione celebrò la sua fama di virtuosa presso i musicisti e la nobiltà.
Laura Bovio non tornò più a Mantova, nel 1584 entrò al sevizio dei Medici ed infine andò a vivere nei pressi di Parma. L'ultima traccia che abbiamo di lei la troviamo nelle Canzoni d'intavolatura d'organo di Claudio Merulo pubblicate a Venezia nel 1582. Il volume contiene nove composizioni, ognuna delle quali è dedicata ad una dama cortigiana, e si apre con una canzone a quattro.la "Bovia".
Per il matrimonio di Cristina di Lorena, nipote favorita di Caterina de' Medici, con il granduca di Toscana Ferdinando, che nel frattempo aveva rinunciato alla dignità cardinalizia, i festeggiamenti nuziali ebbero inizio il 1° maggio e continuarono fino al 15 maggio. Accanto al tradizionale gioco del "calcio" in piazza S.Croce, a tornei e combattimenti di animali, essi comprendevano tre commedie, di cui La Pellegrina di Girolamo Bargagli, rappresentata il 2 maggio, con sei intermedi dagli Intronati di Siena nel teatro posto al primo piano degli Uffizi, fu quella allestita con più abbondante larghezza di mezzi.
Gli Intermedi sono delle interpolazioni canore o corali o strumentali autonome che venivano inseriti fra un atto e l'altro. di commedie o di tragedie.Gli esecutori erano spesso cantori professionisti che non si limitavano ad eseguire le melodie scritte ma le arricchivano di improvvisazioni secondo la tecnica detta della "diminuzione" che consisteva nel seguire l'andamento melodico riempendo però le note, specie le più lunghe, con fioriture di note più rapide, procedimento che veniva detto anche "cantare di gorgia".
L'elenco dei musicisti che presero parte agli intermedi fioriti è davvero straordinario. Tra i compositori più eminenti, Cristoforo Malvezzi, Luca Marenzio, Antonio Archilei.
Quest'ultimo compositore, cantante e liutista, fu al sevizio di Alessandro Sforza, Cardinale di Santa Fiora a Roma, passando poi nel 1584 al sevizio del cardinale Ferdinando de' Medici. Quando il suo protettore divenne granduca di Toscana (1587), lo seguì a Firenze con la moglie, la cantante Vittoria, che aveva sposato nel 1578 e con la figlioletta Margherita.
Tra le interpreti, le massime lodi furono riservate a Vittoria Archilei che si esibì con straordinaria maestria soprattutto nella parte della "Armonia Doria" nel primo intermedio.Vittoria Archilei, nata Concarini,, detta la "Romanina", oltre ad essere una cantante lirica era anche una brava liutista.
I più illustri musicisti dell'epoca lodarono la sua bravura e la sua arte di "passeggiare". Sia Jacopo Peri nella dedicatoria dell 'Euridice, 1600, sia Giulio Caccini nella prefazione dell'Euridice, decantarono sommamente la cantante: l'uno per aver adornato, come altre volte, le sue musiche; l'altro per " la nuova maniera de' passaggi e raddoppiate inventate da me, quali ora adopera, cantando le opere mie, già è molto tempo, Vittoria Archilei, cantatrice di quella accellenza he mostra il grido della sua fama".
A Firenze una particolare e importante famiglia di musicisti è la famiglia Caccini.
Giulio Caccini detto il "Romano" incarnava un prototipo del cantante di nuova professionalità. Teneva scuola: e con gli altri, sue allieve la seconda moglie Margherita e le sue figlie Francesca e Settimia.
Nella didattica prescriveva la controllata moderazione dei passaggi, normalizzò gli abbellimenti, chiedeva espressività affettuosa: il volume polifonico è sgretolato. Emerge in primo piano la melodia del canto solo.
Francesca Caccini detta la "Cecchina" fu una famosa cantante e compositrice e si esibì come suonatrice di clavicembalo e di liuto a Firenze. Cantò per la prima volta con il complesso formato dalla famiglia nel Rapimento di Cefalo (opera di suo padre) nel 1600.
Accompagnò il padre alla corte di Enrico IV a Parigi nel 1604-1605. Da una lettera datata 28/05/1606 di Michelangelo Buonarroti il Giovane, che incoraggiava le giovanili prove letterarie della Cecchina, si sa che già allora componeva musica su versi propri. Sposò il cantante e compositore mediceo G.B.Signorini.
Menzionata nei diari di corte (tra il 1602-1626) prese parte a diversi festeggiamenti e a cerimonie sacre. Fu spesso incaricata di scrivere balli ed altri intrattenimenti musicali.L'unico lavoro teatrale pervenutoci è il balletto La liberazione di Ruggero dall'isola di Polonia.
Le figlie Francesca, Maria ed Emilia cominciarono a cantare con lei intorno al 1620; un figlio, Scipione, si unì al gruppo nel 1622; un'altra figlia, Margherita conseguì anch'essa notorietà come cantante.
Settimia Caccini, sorella della "Cecchina" sposò A.Ghizzani che divenne maestro di cappella del Cardinale Farnese a Parma, dove Settimia interpretò la parte di "Aurora" in Mercurio e Marte di Monteverdi il 21/12/1628.
Un altro figlio di Giulio, Pompeo Caccini,cantò nella prima rappresentazione dell'Euridice nel 1600; da un libretto con annotazioni si sa che sostenne la parte di "Aminta" in una successiva rappresentazione. Cantò anche nella parte di "Fiume" a Roma nella Aretusa di F.Vitali (Palazzo Corsini, 1620); per questo spettacolo disegnò anche le scene,
A Roma spiccavano i cantanti intrattenuti dal melomane Cardinale Montalto. Furono al suo sevizio Cesare Marotta (S.Agata di Puglia, Foggia, 1580 ca.-Roma 28/07/1630) e la clavicembalista e sua moglie Ippolita, amatissima cantante.
Contribuì notevolmente all'affermazione del nuovo genere monodico e, indirettamente, del melodramma la napoletana Adriana Basile che con la voce, l'abilità di accompagnatrice strumentale, la bellezza e la costumatezza conquistava i favori dei principi e dei poeti d'Italia.
Il Marino la cantò nell'Adone e il Chiabrera scrisse per lei diverse poesie.
Sorella del poeta G.B.Basile si fece conoscere dapprima a Roma e a Firenze; ammiratissima a Napoli ne fu rimpianta la partenza per Mantova (1610) dove era stata chiamata alla corte su segnalazione di Monteverdi. Dal duca Vincenzo Gonzaga, ottenne la baronia di Pian Ceneto nel Monferrato.(1612).
Tornata a Napoli nel 1619, l'anno seguente era nuovamente a Mantova, e nel 1623 a Venezia ottenne un trionfale successo. Trascorse gli ultimi anni a Napoli e a Roma.
Dal matrimonio con Muzio Baroni le nacquero le figlie: Caterina cantante, arpista e poetessa, Eleonora. Ebbe una raffinata educazione alla corte della città nativa (Mantova) e trionfò quale cantatrice cameristica a Napoli e a Parigi -dove fu chiamata dal Mazarino- e a Roma, tanto da meritare gli encomi poetici di Milton e del futuro Papa Clemente IX.
Quindi, nel Cinquecento, mentre il madrigale polifonico era destinato ad essere cantato "a tavolino" per il piacere stesso dei cantori, siano essi professionisti o dilettanti, cortigiani o contadini, la monodia aveva un atteggiamento "recitativo" intrinseco: l'isolamento della voce singola consentiva infatti l'individuazione di un personaggio recitante che, d'altra parte, sapesse porgere con efficacia e raffinatezza il testo e il canto ad un pubblico di ascoltatori e di spettatori. Non a caso frequenti erano gli avvenimenti coevi intorno al contegno e alla temperata gesticolazione facciale e corporea che doveva tenere il cantore virtuoso.
La monodia recitativa rappresentò una prerogativa di poche corti, una novità preziosa e ricercata da esibire nelle occasioni rappresentative: gli apparati celebrativi e conviviali si arricchivano dell'intervento di musicisti e cantanti "corteggiati" dai principi d'Italia.