Mazzini ordinò:"Le note diventano armi"




Fu Verdi l'artefice consapevole della fusione risorgimentale tra musica e politica.

Nel 1848, l'anno della "primavera dei popoli", mentre la rivoluzione borghese serpeggia tra le istituzioni dell'Europa autoritaria e legittimista, e mentre intellettuali e popolani scendono nelle strade delle maggiori capitali d'Europa e innalzano barricate, la febbre nazionalistica sembra essere la passione dominante. Nell'impeto della identità cercata e ritrovata da ogni singolo popolo, nel desiderio di individualità delle nazioni pare confluire, quasi per contraddizioni, una più che universale e collettiva solidarietà internazionale. Fu questo il "1848" in Europa, e fu anche questo il carattere essenziale di quel vasto movimento politico, ideologico e sociale che in Italia prese il nome di Risorgimento. Ma è bene ricordare che nell'incendio del "48" europeo la posizione dell'Italia era la più delicata e difficile: era l'unico paese dell'Occidente ad essere una "nazione" senza averne infatti i connotati essenziali. Non era unita ma divisa in setta Stati; non era indipendente ma controllata in gran parte dall'Austria. Dunque il Risorgimento fu un movimento, se è possibile dire, più complesso di tutti gli altri moti rivoluzionari che scossero Parigi, Berlino, Vienna. Per gli italiani la "libertà" si identificava anzitutto con l'idea di una liberazione dal "servaggio", con un moto di orgoglio nazionalistico. Solo dopo il 1849, dopo la fine ingloriosa della prima guerra d'indipendenza e il crollo per mano francese (cioè, ecco un altro paradosso, per mano dell'esercito di una repubblica che era sorta dalla rivoluzione parigina dell'anno prima) della repubblica romana, il moto risorgimentale si colorò di significati politici e sociali più avanzati. Gli ideali di unità e di indipendenza dallo straniero si arricchirono infatti di contenuti più radicali: il repubblicanesimo, la democrazia popolare (come superamento del liberalismo borghese), la giustizia sociale (con il socialismo di Carlo Pisacane e l'anarchismo di derivazione bakuniniana), l'insurrezione popolare e la "nazione armata" (con Garibeldi e Mazzini), il federalismo (con Cattaneo, Ferrari e Montanelli) come rivendicazione del valore delle autonomie regionali all'interno della nazione.
 In questo crogiuolo politico, per circa venti anni, dagli inizi degli anni '40 fino all'unificazione dello Stato italiano nel 1861, si consumarono le più autentiche e generose passioni politiche degli italiani. E come era avvenuto per i canti popolari e militari della Rivoluzione francese di fine '700 ( Marsigliese), così per gli italiani del Risorgimento furono anzitutto le musiche di Verdi ad esprimere ed interpretare i loro sentimenti più profondi. Che la musica potesse essere un alleato potente dell'ideologia della liberazione lo aveva del resto auspicato Mazzini già nel 1836 nel saggio Filosofia della musica, dove era indicata la necessità,per così dire, "politica" di una nuova musica, non più aulica e aristocratica, ma romantica e popolare che sapesse unificare, in un sublime armonia, i più gelosi sentimenti individuali con quelli collettivi della nazione.





Mazzini indicava soprattutto nel coro il simbolo di tale armonica fusione. E furono infatti i cori di alcune opere verdiane a simboleggiare le lotte del Risorgimento. L'identificazione fu così stringente e appassionata che ancora oggi si può fare a meno, riascoltando quelle musiche, di avvertire l'eco storica di una commozione straordinaria.
E' importante precisare, tuttavia, che il rapporto Verdi- Risorgimento (un rapporto di cui, comunque, il maestro fu consapevole fino in fondo) può considerarsi racchiuso nella prima fase del Risorgimento, quella che termina miseramente nel 1849; cioè la fase indipendentistica-unitaria più che quella successiva attraversata da spiriti democratici e repubblicani. L'ignoto disegnatore della scritta "viva V.E.R.D.I." (Vittorio Emanuele re d'Italia), aveva dunque colto pienamente lo spirito delle musiche verdiane. Infatti, dopo il 1849 lo stesso Verdi sa che la tensione patriottica del Nabucco, de i Lombardi di Legnano non può più essere alimentata musicalmente senza cadere nella retorica e nella maniera e non avrebbe poi molti agganci con la realtà. La crisi delle speranze della prima guerra d'indipendenza fu per Verdi anche crisi della sua partecipazione culturale alla situazione politica. Da quel momento protagonista delle sue opere non sarà più il popolo, ma la persona, il dramma individuale del Rigoletto (1851), del Trovatore (1853) e della intensa, fragile eroica della Traviata (1853).
Nabucco (1852), Lombardi (1849) e La battaglia di Legnano furono tuttavia sufficienti ad infiammare, in anni di attesa e di forte tensione ideologica, l'animo di milioni di italiani. E, come aveva auspicato Mazzini, proprio ai cori spettò il ruolo di essere il simbolo di una Italia che vuole uscire dalla servitù. Così, il Risorgimento verdiano esplodeva nei versi e nelle note dolenti e dolcissime di "va pensiero su l'ali dorate", nell'appassionato "oh Signor che dal tetto natio" , e nello squillante "viva l'Italia!" Un sacro patto del Lonbardi alla prima crociata, opera questa che fu data a Roma, al teatro Argentina, proprio tra i bagliori della repubblica romana di Mazzini, di Garibaldi, di Pisacane.
La magica fusione di musica e di accenti patriotici che Verdi e i suoi librettisti riuscirono a creare resta un esempio unico nella storia del melodramma europeo dell' Ottocento, Verdi non salì sulle barricate come Wagner né come il musicista tedesco scrisse di socialismo, ma per la "rivoluzione" egli riuscì a fare quel che Wagner non tentò nemmeno. Anche per questo l'amore tra il Verdi robusto e popolare e le qualità più autentiche del popolo italiano  costituisce un dato indistruttibile della nostra storia. Anche nelle opere successive al 1849 la moltitudine degli appassionati verdiani cercò i segni di quella breve stagione rivoluzionaria e patriottica. Non era un inutile cercare poiché anche per Verdi la passione degli anni '40 coincise con la sua maturazione come musicista. Basta pensare ai Vespri siciliani o al Don Carlos per avvertire che il sentimento della Storia fu sempre presente in Verdi come fonte di ispirazione poetica ma anche di realismo politico.

di Lucio Villari in Il romanzo della Musica. L'Opera della Musica. Rossini, Verdi, Wagner, supplemento a "la Repubblica", Arnoldo Mondadori, 1987, p.22