Ars Nova: la storia di Jacopo da Bologna

Jacopo da Bologna

Il termine Ars Nova, con cui viene designata la musica del Trecento, deriva dal titolo di un trattato musicale del francese Philippe de Vitry, che illustra le principali innovazioni intervenute in questo periodo nella teoria e nella pratica musicale.
L'Ars Nova si distingue dall'Ars Antiqua riconoscendo valore artistico anche alla musica profana e sviluppando, accanto a quelle polifoniche, composizioni di stile parzialmente omofono.
L'Ars Nova italiana, che trae ispirazione da quella francese, fiorisce tra il 1325 circa e l'inizio del secolo XV;  il centro artistico è Firenze, ma il movimento si diffonde anche in varie città dell'Italia settentrionale e centrale.
Bologna è un importante centro di produzione e di diffusione della lirica vocale; ambiente particolarmente favorevole è quello degli studenti dell'Università, ma anche la Corte dei Pepoli, con Taddeo e i figli Giacomo e Giovanni.
Infatti, Antonio da Ferrara, poeta che viveva presso la Corte dei Pepoli, ricorda in una sua canzone che quando era a Bologna gli piaceva ascoltare una fanciulla che cantava madrigali, tra cui due in particolare: Dù occhi ladri e In sei bei fiori, composizioni tuttora conservate e la seconda è un'opera giovanile di un musicista locale: Jacopo da Bologna che, iniziata l'attività nella città natale, l'ha proseguita presso le due Corti confinanti che si dividevano il dominio a nord del Po: gli Scaligeri di Verona e i Visconti di Milano.
Jacopo, noto anche con il nome latinizzato di Jacobus de Bononia, svolse  la sua opera di musico prima a Padova, poi a Verona alla Corte di Mastino II della Scala (1340-1345) e infine a Milano, presso Luchino Visconti (1345-1355). Probabilmente in questa ebbe una cattedra di musica all'Università.
Jacopo a Milano adempie la funzione di musicista ufficiale, celebratore ufficiale di personaggi ed avvenimenti di corte. , come in Francia, la funzione politica è svolta innanzitutto dal mottetto con testo latino: due composizioni di questo genere, infatti, una conservata intera Lux purpurata celdiis-Diligite laudari e l'altra frammentaria Laudibus dignis merito laudari sono state scritte da Jacopo per Luchino Visconti. Nella prima si accenna anche al fratello Giovanni, arcivescovo di Milano, che divideva con lui il potere..
All'intento celebrativo Jacopo sottopone anche il madrigale: il madrigale O in italia felice liguria è stato composto per celebrare. il 4 agosto 1346 la nascita dei gemelli Luca e Giovanni, figli di Luchino e Isabella Fieschi.
Tuttavia fra i suoi madrigali, finemente rabescati, è famoso Non al suo amante più Diana piacque, musicato sul testo del Petrarca intorno al 1350.
Nelle prime due terzine viene accostata l'immagine di Diana scorta accidentalmente dal suo innamorato Atteone mentre mentre si bagna nuda nelle gelide acque di un laghetto montano, a quella molto più casta di Laura, accorta dal poeta mentre sta lavando alla fonte il leggiadro velo che di solito copre i suoi capelli. Il poeta negli ultimi due versi dichiara di provare alla vista dell'amata lo stesso fremito amoroso da cui fu certamente assalito Atteone..
Musicalmente le prime due terzine sono intonate sulla prima sezione melodica (A): i due versi finali alla rima baciata che costituiscono il ritornello, sono intonati su una diversa melodia (B),  che presenta una variazione anche nel ritmo.
Come quasi tutti i madrigali polifonici del Trecento, si tratta di una composizione a 2 voci, ambedue cantate, in cui la voce del cantus   viene sostenuta, nel suo darsi melodico e fiorito allo stesso tempo, dalla voce del tenor, che si compenetra intimamente con la  più elaborata voce superiore.
Jacopo, il più noto della prima generazione dei compositori dell'Ars Nova, supera il contemporaneo e rivale Giovanni da Firenze per varietà ritmica, dolcezza melodica e più forte senso armonico. Maestro di Francesco Landino, con la sua produzione ha indirizzato la ricerca stilistica sia dei fiorentini, che lo hanno seguito sia di Bartolomeo da Padova. Le sue composizioni sono rimaste in voga perlomeno fino al 1420.
Infine di lui ci è pervenuto un trattato teorico, L'arte del biscanto misurato secondo il Maestro Jacopo,una trentina di madrigali, due mottetti, una lauda, tre cacce che sono tra le pagine più belle del nuovo stile musicale.






Musica e Medicina




Titolo dell'opera: Musica e Medicina. Profili  medici di grandi compositori. Casa editrice E.D.T., pp..224


Autore: John O'Shea, medico e storico della medicina, e ricercatore presso la Facoltà di Storia Medica della Worshipful Society of Apothecaries di Londra.

L'autore, la cui ricerca sulla documentazione della storia clinica dei vari compositori è stata condotta in Europa, negli Stati Uniti e in Australia, nell'Introduzione spiega che: "con l'età e con la malattia fisica e mentale c'è spesso un declino nelle funzioni intellettive, ho cercato di fornire un quadro dello stato mentale di ogni compositore, così come doveva essersi evoluto con l'età e con le malattie, offrendo al lettore la possibilità di valutare il peso di questi fattori sulla produzione musicale di un compositore".
In effetti questo libro- tra l'altro da una copertina suggestiva che raffigura Il Grido di E.Munch propone l'interrogativo fondamentale il quale consiste nel rilevare fino a che punto il grado di invalidità fisica e quindi emotiva abbia influito sulla musica di compositori come Beethoven, Chopin, Bartòk.
Inoltre l'autore tende a sfatare certi miti, di cui solo due sono legati a Mozart: la deformazione fisica del suo orecchio sinistro è collegata all'eccezionale talento musicale di cui era dotato? O ancora: la morte che lo colse a soli trentasei anni fu veramente procurata da avvelenamento  da parte di Antonio Salieri?





Un poeta che dipingeva la canzone napoletana




Salvatore Di Giacomo nasce a Napoli il 13 marzo 1860 dal medico Francesco Saverio e da Patrizia Buongiorno, insegnante di musica al Conservatorio S.Pietro a Maiella.
Segue il tracciato curricolare dei ragazzi della media borghesia. Studia al liceo "Vittorio Emanuele"; nel 1878 si iscrive alla facoltà di Medicina per compiacere i desideri paterni, ma nell'ottobre del 1888 abbandona definitivamente quegli studi. Mentre avviava la collaborazione letteraria con novelle di carattere fantastico al Corriere del Mattino, nel 1881 fonda il Fantasio. Da qui in poi sceglie la strada della letteratura. Muore nel 1934.
Se la narrazione ed il dramma occupano quantitativamente la maggior parte dell'opera poetica, dove gli ambienti e i personaggi sono quelli di un cupo e amaro verismo: vicoli, dormitori pubblici, prigioni, i "bassi" in cui si svolgono vicende di violenza e di sangue, Di Giacomo è soprattutto autore dei migliori versetti che si abbiano in dialetto napoletano. Il poeta con istinto applica i canoni più significativi della pittura impressionistica di un Delacroix o di un Monet: la tecnica della divisione dei toni, dei colori, delle parole delle nette distinzioni tra le tinte pure e le tinte incupite, dell'irripetibilità delle sensazioni e dei momenti, della libertà da costrizioni semantiche precostituite, soprattutto se accademiche: In poesia gli esiti più alti, ottenuti con questa tecnica, sono nelle liriche più note: Marzo, Na tavernella, Pianefforte e notte. Croce scrive nel 1914, nella prefazione di Novelle Napoletane: "il Di Giacomo non esce poeta e novellatore da un gruppo di letterati che verseggiano e narrano, ma vien fuori dai pittori napoletani con i quali, e non con onori vari di letterato, gli piacque di convivere fin da giovane, per affinità di temperamenti...Chi penetra oltre la superficie, avverte nelle sue pagine i procedimenti del pittore che costruisce il quadro, ponendo i colori e distribuendo luci ed ombre".
Oltre aver scritto numerosi libretti derivati da suoi stessi lavori drammatici, , si è dedicato anche a studi storici sulla musica, è tra l'altro autore di Canzoni napoletane, tra cui famosissime A Marechiare, Spingola francese, musicate rispettivamente da F.P.Tosti e da P.De Lava, Assunta e Angelica musicate da I.Pizzetti, nasce dalle reazioni del suo cuore e del suo spirito nei confronti della donna di cui è innamorato.Infatti, nel 1905, l'amore unico e profondo, nutrito per Elisa, sostituisce i ricorrenti innamoramenti: se prima scriveva.:"Oggi sì tu, dimane forze n'ata sarà. E pò n'ata, chi sa si tiempe ce rimane. Vocchie celeste o nire, vore  e viglio e 'rose sempe,sempe una cosa, sempe 'e stesse  suspire1" ora scrive:"E' vero, è o vero, st'ammore è un pericolo per tutt'e duie!...E simmo abbandonate all'ombra! Sperdute int'o mistero!...Sì cammenammo ascuro...Sì, 'o ssaccio...Ma che fa?"
Ezechiele Guardassone,suo amico scrive (Napoli pittorica, Sansoni, Firenze, 1943): "Napoli amava il suo poeta che ebbe una popolarità diretta, spontanea, calda, soprattutto della povera gente dei bassi e dei vicoli; a me pareva, camminando con lui, che uscissero dalle vecchie case i motivi delle sue canzoni, come se gli venissero incontro per salutarlo. Di Giacomo aveva cantato con oro, per gli occhi neri e appassionati, per i versi di ruta e ortensia, per i terrazzini all'ultimo piano. Un'aria di rispetto affabile ed intelligente era nel saluto del cocchiere, dell'oste, della bottegaia, della fruttivendola, e Don Salvatore sorrideva a tutti con la sua faccia quadrata dagli occhi neri e lucenti. Queste scene facevano bene al suo temperamento malinconico, impressionabile, variabilissimo".











                                                                  

La crisi della tradizione teorica







QUESTO NUOVO ARTICOLO RIPRENDE GLI
ARGOMENTI TRATTATI IN ARMONIA DELLE SFERE. 

L'inclusione dell'insegnamento della musica nell'ordinamento universitario, a partire dalla metà del secolo XII, diede vita ad una fioritura di trattati di tipo speculativo e matematico che attinsero molto dalle dottrine de teorico romano Severino Boezio che fu il tramite fra il pensiero musicale dell'Antica Grecia e il Cristianesimo.
Boezio appariva un po' come il nume tutelare della teoretica musicale medioevale, l'autorità  a cui rifarsi per avvalorare le proprie tesi: la sua tripartizione della musica in mundana, humana, instrumentalis ricorreva in tutti i trattati musicali. Tuttavia ciò che in Boezio aveva un preciso significato e rappresentava il fondamento di una complessa filosofia della musica e della sua cosmologia, veniva sempre più a perdere di significato, sino a diventare una meccanica ripetizione di uno schema a cui corrispondeva una realtà teorica ed estetica sempre più diversa con il passare dei secoli.
Johanne de Grocheo, vissuto a Parigi all'inizio del XIV secolo, forse per la prima volta nel suo trattato De Musica, prese nettamente posizioni contro le teorie di Boezio, respingendo esplicitamente ogni idea di una musica mundana, di una musica concepita come un duplicato numerico dell'ordine cosmico.
Vari furono i riferimenti alla musica nelle opere letterarie dell'epoca.
Dante Alighieri rappresentava un esempio tipico della forza di penetrazione a tutti i livelli culturali dei giudizi e dei pregiudizi, formulati nel Medioevo sulla musica: l'illustre poeta doveva avere conoscenza diretta non solo degli scritti teorici più antichi, ma anche degli strumenti e delle forme della musica del suo tempo.
E' rilevante la funzione riservata alla musica nella Divina Commedia. Nell'Inferno essa è assente e la sua presenza assume l'aspetto del rumore informe. la musica compare nel Purgatorio nella forma del ricordo con pochi e sporadici accenni - si ricordi l'incontro con il musicista Casella che intona la canzone Amor che nella mente mi ragiona - , per assumere una presenza sempre più vasta nel Paradiso, mano a mano che il poeta sale sino all'ultimo cielo.
L'idea di rappresentare il Paradiso come risonante di canti dei Beati e degli Angeli venne a Dante dalla più antica e radicata tradizione della musica mundana.
Ma l'innovazione poetica e concettuale di Dante è che i cieli risuonino "realmente" alle sue orecchie: si tratta di una musica celeste le cui forme sono terrene.
Così quando nel canto XIV del Paradiso allude a quella melodia di cui non riesce a percepire il testo, sembra riferirsi ai nuovi e sempre più complessi cori polifonici in cui le parole sono sommerse dall'intreccio contrappuntistico.
I Problemi Musicali, tradotti per la prima volta in latino da Bartolomeo da Messina tra il 1258 e il 1266, diventarono presto, insieme con la Politica e il De Anima, il testo aristotelico maggiormente utilizzato dai trattatisti musicali.
La sezione XIX, in particolare, dedicata alla musica - centrata sul tema degli effetti della musica sull'animo umano - conobbe in breve tempo una particolare fortuna e diffusione.
Pietro d'Albano fu il primo commentatore dei Problemi. Sin dal Prologo della sua Expositio in limun problematium Aristotelis si dimostra consapevole di accingersi ad un'opera impegnativa per la novità e per la complessità delle problematiche sollevate dal testo di Aristotele.
In effetti, per i lettori latini e medioevali che disponevano quasi esclusivamente delle nozioni di musica greca antica veicolate dai testi di Boezio, i Problemi presentavano delle difficoltà sia dal punto di vista lessicale che su quello teorico.
Pietro d'Abano anticipa alla concezione organica del sapere basata sulla medicina, una comprensiva dell'intero quadro delle scienze speculative, le sette arti liberali, dalla logica alla retorica, dalla matematica alla geometria, alla musica, all'astrologia, alla filosofia naturale, alla metafisica.
Pietro d'Abano, mettendo ampiamente a frutto la nozione di musica humana sia nel corso del commento ai Problemi sia all'interno del Conciliator differentiarum philosophorum et precipue medicorum, sottolineava il nesso musica-medicina, nozione che gli consentiva di evidenziare l'armonica unione sull'uomo di anima e corpo e quindi la conseguente connaturalità a lui della musica.Questa tesi sembra rifarsi a Boezio, il quale nel De Institutione musicae affermava che la musica humana nasce da una coaptatio , cioè da un ordinato mutuo  rapporto tra le componenti fisiche e spirituali della persona umana.
Nel Conciliator viene sottolineato, quanto al grande significato formativo della musica, il contributo che essa può fornire al sapere medico con il rendere possibile l'elaborazione di una vera e propria Scientia Pulsualis.
Per quanto riguarda il rapporto musica-medicina e della legittimità di una Sienti Pulsualis, esiste una generale questione dell'effettivo legame tra queste due forme di sapere, legame da più parti negativo a motivo sia della loro appartenenza ad ambiti disciplinari distinti sia dei loro diversi oggetti (Numerus Sonorus, da una parte, Corpus Humanum Sanabile, dall'altra), sia dalle loro differenti finalità (rispettivamente l'instaurazione di retti costumi e l'equilibrio degli elementi naturali).
Tuttavia Pietro d'Abano ribadisce la realtà di tale rapporto e, tra gli argomenti da lui addotti, due evidenziano particolarmente il contributo recato dalla musica al pieno esercizio della medicina: da un lato la conoscenza delle proporzioni tra i suoni, quale è data dalla musica organica, consente di afferrare le proporzioni nascoste nel battito del polso, dall'altro, moderando le passioni e favorendo l'instaurarsi di retti costumi, la musica completa l'opera della medicina, affiancando alla terapia del corpo, da questa praticata, una terapia dell'anima.
Nonostante ancora i fragili ponti lasciati tra la musica mundana e quella humana, l'interesse alla dimensione speculativa e filosofica del fatto musicale, che aveva tanto attratto i primi teorici medioevali, veniva progressivamente sostituito da una maggiore attenzione ai problemi reali presentati dalla nuova pratica polifonica.
L 'abate Engelberto di Admont nel suo De Musica scritto all'inizio del 1300, definisce la musica come la "scienza che ricerca e scmpre l'accordo e la consonanza secondo proporzioni armoniche tra cose contrarie e dissimili tra loro congiunte e avvicinate".Questa definizione che riafferma l'identità tra musica e armonia riflette anche la più concreta preoccupazione del musicista che deve affrontare il problema della consonanza di più suoni nell'intreccio contrappuntistico di più melodie. Il richiamo insistente a Boezio che si ritrova nelle pagine del De Musica è un omaggio esteriore all'antico teorico; Engelberto riconosce infatti che nonostante vi siano tre tipi di musica - "secundum Boetium - cioè quella mundana, humana, instrumantakis, conclude che solo l'ultima , quella instrumentalis, ci interessa e possiamo udire.
Dopo il discorso quasi rituale su queste tradizionali astratte distinzioni, definisce nuovamente la musica in una prospettiva meno filosofica ma più concreta come "la scienza e la dottrina di due specie diverse di suoni, cioè quelli prodotti dalla voce umana e quelli prodotti dagli strumenti dei musicisti.
Da quel momento in poi la musica viene considerata una scienza, ma una scienza dei suoni percepibili dai sensi e non di quelli prodotti dal moto degli astri.
































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L'Armonia delle Sfere









Il senso di equilibrio, armonia e perfezione che ancora oggi i resti degli antichi templi di età classica riescono ad evocare incantandoci con il ritmo delle loro proporzioni, fu il frutto di una concezione estetica che investì ogni manifestazione artistica dello spirito ellenico dall'architettura alla pittura, dalla scultura alla musica.
Il concetto di "proporzione" nacque nel contesto della dottrina matematica, introdotta in Grecia da Pitagora di Samo quando, agli albori della filosofia occidentale, la visione mitologica incontrava l'interpretazione razionale nella ricerca del principio unico ed universale all'origine del "Tutto".
Già da lungo tempo, prima di Pitagora, si è tentato di spiegare il mondo attraverso una cosmogonia. Comprendiamo il nostro complicato mondo se ci immaginiamo come esso sia sorto da stati originari più semplici: all'inizio c'era l'Uno, poi si sono divisi il Cielo e la Terra. Le cose si sono sempre più sviluppate e differenziate fino a che infine è sorto il nostro meraviglioso e variegato mondo.
La scuola fondata a Crotone, nella Magna Grecia, dal filosofo di Samo, verso il 530 a.C., concepiva la scienza come un mezzo per elevare l'anima alla divinità e perciò assunse le caratteristiche di una associazione religiosa, con cerimonie di tipo misterico, simili a quelle delle comunità orfiche.
L'implicazione di carattere religioso dell'indagine filosofico-matematica della comunità pitagorica era strettamente legata ad una visione unitaria del cosmo., I pitagorici spiegarono l'ordine dell'Universo come un'armonia di corpi che si muovono secondo uno schema numerico: essi descrivono l'Universo in termini di relazioni matematiche. I numeri hanno sottratto il mondo dal caos e lo hanno reso un cosmos  armoniosamente ordinato, regolato da una norma costante, perenne e definita.
Il punto di partenza della dottrina pitagorica, che era quello di risolvere, mediante un principio unico e primordiale, il mistero dell'origine e della costituzione dell'Universo portò i Pitagorici ad intuire che i numeri erano il principio originario delle cose ed il modello sul quale esse erano formate, solo i numeri potevano fornire gli elementi certi di conoscenza e l'analogia con i fenomeni della natura (il ripetersi delle stagioni, il ripetersi della notte e del giorno) era il metodo per pervenirvi.
I Pitagorici furono i primi a concepire la Terra come una sfera rotante con gli altri pianeti attorno ad un fuoco centrale, detto "Hestia" , altare dell'Universo, che ordina e plasma la materia dando origine al mondo. Intorno ad esso si muovono, da occidente ad oriente, dieci corpi celesti: il cielo delle stelle fisse, Saturno, Giove, Mercurio, Venere, Marte, la Luna, il Sole, la Terra e l'Antiterra, pianeta ipotetico che completava il "sacro" numero dieci e che, secondo Filolao, si trovava in opposizione alla terra e che l"Hestia " ne impediva la vista.
Pitagora e i suoi seguaci rappresentando i corpi celesti reciprocamente separati da intervalli corrispondenti alle lunghezze armoniche delle corde , ritenevano che il movimento delle Sfere, nelle loro rotazioni nello spazio, producesse un suono, chiamato "Armonia delle Sfere": una musica celeste, una bellissima sinfonia che le nostre orecchie non percepiscono, o non sanno più distinguere, perché da sempre sono abituate a sentirla.
Il filosofo di Samo diceva che solo chi possiede un cuore puro può percepire l'Armonia delle Sfere.
Le scoperte di Pitagora nel campo dell'armonia musicale e la sistemazione scientifica da lui datane spiegano le ragioni morali ed educative della musica: il Maestro era convinto che la musica ricostruisse l'armonia turbata della nostra anima.Alla musica si attribuivano, infatti, virtù terapeutiche della psiche: essa era capace di placare le emozioni violente, di curare gli stati di depressione. I Pitagorici giungevano ad usarla come mezzo di suggestione magica, tale da influire sulle condizioni psicofisiche dell'individuo. Giamblico, a tal proposito, narra un episodio accaduto ad un giovane di Taormina che, im preda a follia amorosa, viene guarito da Pitagora con un ritmo spondaico fatto eseguire da un flautista; e l'altro, di Empledocle, che salvò dalla follia omicida di un giovane il proprio ospite Anchito, eseguendo sulla lira una melodia dolce e asserenante. Sembra che lo stesso Pitagora usasse far addormentare i propri adepti suonando uno strumento monocordo, affinché questi potessero ottenere i benefici di un sonno tranquillo che dava pace allo spirito.
Di nacque uno dei concetti più importanti dell'antichità classica, il concetto di "catarsi". La musica intesa come medicina, come "purificazione dell'anima", viene ad acquisire una carica etica e pedagogica che sino ai pitagorici non era mai stata teorizzata con tanto rigore.
Il legame della musica con la medicina è antichissimo e le credenze nel potere magico- incantatorio, curativo della musica risale ai tempi anteriori a Pitagora. Tale concetto si ritrova anche in altre aree culturali, ed è sopravvissuto fino si nostri tempi presso varie popolazioni.
Nel Medioevo e nel Rinascimento numerose furono le rielaborazioni della teoria pitagorica circa le influenze esercitate dall'Armonia delle Sfere e dall'armonia prodotta dalle vibrazioni delle corde. L'Armonia Mundi", così definita in epoca rinascimentale, ci rimanda agli Intermedi de La Pellegrina (1589), composta per le nozze del granduca Ferdinando I con Cristina di Lorena; le musiche erano di Marenzio, Malvezzi, Cavalieri, Peri e Caccini. Progettati da G.Bardi, svolgevano temi dimostrativi di lirica classicheggiante, allegorica, morali,speculativi: L'armonia delle Sfere, La gara fra Muse e Pieridi, Il combattimento pitico d'Apollo, Le regioni de' Demoni; Il canto d'Arione, La discesa di Apollo e Bacco insieme col Ritmo e l'Armonia. 
Il raccordo tra la teoria classica greca e quella medioevale e, quindi quella rinascimentale, è costituito dall'opera De institutione musica nella quale il nobile romano Severino Boezio, filosofo e consigliere del re degli Ostrogoti Teorico, compendiò le principali nozioni della teoria antica, sulla base della concezione pitagorica desunta dagli scritti di Tolomeo.
Secondo il pensiero di Boezio, ci sono tre generi di musica e in ciascuno sono presenti i principi di ordine e di armonia che reggono l'Universo: La Musica mundana (dei pianeti , delle sfere celesti), La Musica humana (che congiunge armoniosamente, fra loro le parti dell'anima e del corpo) e La Musica instrumentalis (quella prodotta dagli strumenti).
Anche in tempi molto recenti la musica fu influenzata per divulgare conoscenze esoteriche a più livelli e per rimandare a mondi in cui la dimensione spazio-temporale si dissolve aprendo porte le cui chiavi si possono trovare solo attraverso armonie e melodie sublimi. Spesso fu fatto con l'utilizzo e la rielaborazione di musiche orientali e medioevali: si ricordi la suite sinfonica The Planets (1916) del compositore inglese G.T.Holst.
Il positivista J. Combarieu conclude il suo libro La Musica e la Magia così scrivendo:"Dalle brume del più remoto passato preistorico balugina questa idea: la musica è per eccellenza una potenza di seduzione e di incantesimo. Dopo essere stata al sevizio dei bisogni più prestanti e immediati dell'esistenza -la fame, la sete, la pace e la guerra, l'amore e l'odio- questa idea trasmigra al dominio religioso dove ispira e regge la poesia litica; di lì fa scaturire, in una evoluzione senza fine, tutta l'arte profana, i suoi generi, la sua tecnica, le idee associate ai suoi metodi espressivi, il suo ruolo in ogni circostanza della vita politica. Il diffondersi e l'irraggiare della sua azione è riconoscibile fino ai giorni nostri nei quali la parola incantesimo non s'applica ormai più a miracoli effettuati dal Cosmo, oggettivamente, ma ad altri miracoli di trasformazione spirituale dei quali è teatro l'animo di chi ascolti la musica".





















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La ninna nanna nella tradizione popolare italiana







Jules Combarieu, a proposito della ninna-nanna, scrive:"Si tratta di un genere mai assente dal Folklore [...] E non solo la tenerezza materna si è servita del canto per favorire il sonno: anche i conquistatori, i guerrieri, i cacciatori l'hanno adoperato contro il nemico o la preda, per colpire senza pericolo, o per liberarsi da un ostacolo". Anzi sottolinea che:"...questo uso indubitabile del canto saporifico, come arma offensiva e difensiva, precedette l'innocente ninna-nanna, i cui diversi ritornelli la tradizione italiana ha conservato in tutti i paesi: ro-ro in portoghese, ninna-nanna in italiano, do-do in francese, lullaby in inglese, ecc.Ma anche fuori dall'Europa si riscontrano canti simili, dal Brasile al Polo Nord".
La ninna-nanna, questo canto dalla struttura semplice e in una forma poco sviluppata, testimonia quel momento di passaggio dalla parola al canto  che rappresenta un oggetto primario d'attenzione per lo studio della comunicazione popolare e propone a livello schematico modelli di formalizzazione più difficilmente individuabili nei canti di maggior sviluppo e di più complessa forma.
Tuttavia accanto ad esempi di ninna-nanne di impianto libero, con un andamento "circolare" in una continua ripresa senza fine di moduli verbali più o meno organizzati secondo un impianto versificato, che ci riportano a situazioni storico-culturali arcaiche, esistono esempi di ninna.nanne, più recenti, che presentano una forma strofica, che sono metricamente regolari e con versi rimati.
In molte ninna-nanne emerge il tema della possessività materna, vengono fatte delle promesse al bambino, gli vengono suggerite.fortune prossime o remote; si possono assumere modelli base fondati su tali concetti:"Dormi bambino, la tua mamma ti è vicina. Tuo padre è andato a caccia/in città/in osteria/al mercato". Generalmente l'incipit delle ninna-nanne meridionali è il seguente:"Venne il vento della montagnella il lupo si mangiò la pecorella"; mentre l'incipit delle ninna-nanne settentrionali: "Là in fondo c'è un camino che fuma/l'amore del mio ben che si consuma/che si consuma a poco a poco/come la legna verde in cima al fuoco".
"Formalmente le ninna-nanne"-scrive Ernesto De Martino,  considerato tra i massimi cultori italiani di etnologia e folklore", appaiono ricche di elementi cattolici: la sacra famiglia e i santi ma in modo particolare la Madonna, vi appaiono continuamente sia per aiutare a incantare il sonno.sia per assicurare efficacia al contenuto frequentemente augurale dei vari distici. Tuttavia a parte l'incantesimo del sonno che lascia trasparire chiaramente il momento magico delle ninna-nanne, ha luogo qui anche un appassionato incantesimo della sorte, una trasfigurazione fiabesca della situazione reale, e una anticipazione di destini fausti, dominati dal tema della ricchezza e della potenza". A tal proposito tipico è il canto Ninna e ninna ninnarella, una ninna-nanna comune in Lucania e in Campania:"Ninna e ninna ninnarella, questa figlia vuol fare la ninna bella/Vieni, sonno e non venire a piedi , mandale sulla fronte un bacio sincero.Vieni a cavallo ad un cavallo d'oro, quello che ha lo stemma al cuore./ Vieni a cavallo ad un cavallo bianco, quello che ha la briglia al fianco./Vieni, sonno, vieni dal monte; prendi una palla d'oro e dagliela in fronte./Dagliela sulla fronte, ma non farle male, che è piccina, e ninna vuole fare./Ninna e ninna sempre dico; l'Angelo viene ed io lo benedico/E benedico il latte e la mammella e benedico chi in braccio me la tiene./Ninna e ninna ninnarella, addormentami questa figlia bella./Madonna mia, tu che me l'hai mandata fammela crescere sana e mai malata./ San Giuseppe mio vecchiarello, pensaci tu per questa bambinella".
Infine una lettura non superficiale dei testi delle ninna-nanne ci offre una panoramica completa della vita femminile nella comunità, dei rapporti madre-figlia, del dramma esistenziale della donna che, per uscire da una situazione di obblighi familiari oppressivi, non aveva altra strada che sposarsi, andando incontro a obblighi ancora più oppressivi e vincolanti. I n effetti è stato osservato che il canto della ninna-nanna, oltre ad assolvere alla funzione "conscia" di addormentare il bambino, assolve anche a quella più o meno inconscia di dare alla madre un' occasione di sfogo alle sue frustrazioni, non altrimenti possibili all'interno della società contadina tradizionale.
Infatti canti di culla che si connotano musicalmente come dei veri e propri lamenti e con testi carichi  di disperazione e popolati di immagini doloranti, per nulla consoni alla falsa immagine che della ninna-nanna  è stata quasi sempre proposta, sono soprattutto frequenti là dove la struttura socio-economica e culturale è più integralmente e organicamente contadina, mentre tendono a diradarsi e a scomparire nel passaggio a situazioni più vicine all'ambiente urbano-borghese.
Concludendo il canto della ninna-nanna è un elemento primario per la comprensione non solo della realtà della comunicazione orale, ma anche dei suoi significati sociali, delle sue implicazioni psicologiche sia a livello individuale sia a livello collettivo.















Musicosophia: la saggezza nei suoni





La scuola Internazionale di Musicosophia, in Germania nella cittadina di St.Peter, fu fondata dal musicologo rumeno George Balan.
La scuola persegue l'obiettivo di restituire all'ascoltatore la dignità che gli spetta, quale destinatario di ogni opera d'arte musicale. la "rieducazione" all'ascolto musicale non richiede alcuna conoscenza tecnica preliminare: per accedervi è sufficiente porsi in maniera attiva di fronte alla musica che si ascolta.
Il destinatario dell'opera musicale, con l'aiuto della concentrazione, del silenzio interiore e soprattutto della padronanza delle emozioni, ha il privilegio di comprendere quanto la musica vuole trasmettergli, il pensiero che essa esprime attraverso la melodia, l'armonia e il ritmo.
Geoge Balan scrive:"La musica parla da sé con sufficiente eloquenza dei suoi misteri  a chi le apre spirito e anima".
A mio avviso, quanto ha affermato Balan ci riporta, in qualche modo, a<lla concezione della musica di Wilhelm heinrich Wackenroder (1773-1798), scultore e critico musicale tedesco, autore del libro intitolato  Fantasie della musica.  Il pensiero di Wachenroder si ricollega alla nuova teoria romantica della musica che si basa soprattutto sul riconoscimento di una propria funzione autonoma, al di là dei semplici concetti edonistci del pensiero illuministico.
A tal proposito si ricordi il mutato rapporto nei confronti dell'Arte in generale da parte dei romantici: mentre l'Illuminismo vede l'Arte come emarginata in una società fondata nei valori pragmatici, il Romanticismo vede l'Arte come attività essenziale nella vita degli individui e dei popoli..
Per Wackenroder ci si deve porre, riguardo all'Arte ed in particolare alla Musica, in atteggiamento contemplativo, che è proprio dell'amatore d'Arte e non del critico che, selezionando, analizzando l'opera, non coglie l'unità dell'opera stessa: l'organo di accesso all'opera d'arte è il sentimento, non l'intelletto.
Quindi ciò che viene rifiutato da Wackenroder è la descrittività analitica, emotiva o affettiva della musica: nei suoni cerca valori più stabili, appelli di una interiorità indipendenti da stati d'animo Infine Wackenroder scopre nella musica un valore metafisico Con queste implorazioni:" Venite voi, suoni, avvicinatemi, salvatemi da questo doloroso sforzo terrestre verso la parola, avviluppatemi con i vostri raggi milliformi su, nel vecchio abbraccio del cielo che tutto ", comprende intuitivamente e simpateticamente l'armonia musicale che è quella stessa dell'animo umano e dell'ordine cosmico.
Ritornando al discorso della Scuola di Musicosophia l'ascoltatore, come Wackenroder, pian piano impara a percorrere la strada di una affascinante ricerca in grado di potenziare le sue innate capacità creative e di imprimere nel suo essere un più alto ordinamento dell'esistenza.
La Scuola Internazionale di Musicosophia ha succursali in tutto il mondo: in Italia la sede principale è a Varese e, inoltre, si tengono vari seminari nelle città di Firenze, Assisi, Bologna, Napoli e Roma.






























Il Rinascimento musicale: fatti, personaggi e dive













In epoca rinascimentale la musica assurgeva in Italia a elemento di cultura e diletto delle classi alte e medie ed aveva una parte importante nella vita privata: musicista era persino un filosofo raffinato come Marsilio Ficino; anche Leonardo, Benvenuto Cellini, Salvator Rosa erano bravi cantanti e suonatori.
Nonostante la grande diffusione della polifonia e le fortune editoriali del madrigale, della villanella, della canzonetta, una vocazione umanistica era quella di cantare, sempre in lingua "materna", ma improvvisando e accompagnandosi con uno strumento.
Baldassare Castiglione nel suo Cortigiano dichiara con entusiasmo di apprezzare l'arte di "cantare alla viola per recitare, il che tanto di venusità ed efficacia aggiunge alle parole, che è gran meraviglia".
Dove "alla viola", significa appunto con l'accompagnamento di viola da braccio o da gamba secondo quella prassi per cui il canto era un modo di "recitare" poesie aggiungendo "efficacia" alle parole.
Nelle corti di Firenze, Mantova,e Ferrara musicisti di fama , italiani o stranieri, vi trovano gentile e onorevole accoglienza. ne sono testimonianza i dipinti di Paolo Veronese e di Giorgione Bonifazio.
Con il matrimonio di Isabella d'Este e Francesco II Gonzaga nel 1490, la corte mantovana divenne il fulcro di un genere di mecenatismo assai ampio che abbracciava le lettere, le arti figurative e la musica.
Isabella era cresciuta a Ferrara, dove suo padre le aveva assicurato una completa educazione umanistica. Fin da piccola aveva studiato il latino: all'età di quindici anni era in grado di recitare i classici. inoltre aveva imparato a comporre versi in volgare da Antonio Tebaldeo.
Grazie alle sue lettere, sappiamo che era un'esperta musicista: sapeva suonare la cetra e aveva studiato il liuto con Angelo Testagrossa; cantava, ed era in grado di suonare gli strumenti a tastiera.
Mentre l'attenzione di Francesco era diretta verso la tradizionale banda dei "pifferi" e alla creazione di una cappella strumentale "alta" e, quindi, verso un repertorio di musica vocale sacra su testo latino, Isabella nel promuovere la musica vocale su testo italiano, era particolarmente interessata a coltivare la frottola e le forme ad essa affini.
Nel corso del penultimo decennio del Cinquecento, la vita musicale Ferrarese alla corte estense era dominata dal Concerto delle Dame che acquistò un'ottima reputazione attraverso l'Italia per le sue brillanti esecuzioni vocali in stile fiorito.
Le composizioni concepite per quella compagnia femminile sono caratterizzate da due o tre voci acute che si sciolgono in risalto dal gruppo. Contribuirono al loro repertorio Luca Marenzio, Gesualdo, Monteverdi, Luzzaschi, Wert.
Il complesso era formato da Lucrezia ed Isabella Bendidio, Laura Peperara, Anna Guarini, Livia d'Arco, Vittoria Bentivoglio, Leonora da Scandiano e da Tarquinia Molza che, nipote del poeta ed umanista Francesco Maria Molza, apparteneva ad una importante famiglia modenese.
A questa colta e raffinata poetessa e musicista -suonava con gran maestria la viola e il liuto- il padre Camillo procurò maestri di latino e di ebraico, di poesia, sposò Paolo Porrini che morì tragicamente nove anni dopo. Si trasferì a Ferrara, dama d'onore di Lucrezia Borgia e di Eleonora d'Este.
Era onorata da principi e da prelati: Alfonso II d'Estein persona in suo onore disputò un torneo ; il Tasso, che la conobbe durante il suo soggiorno a Modena del dicembre 1576, le indirizzò alcuni sonetti e madrigali e le dedicò il dialogo sull'amore intitolato La Molza.
Il primo a far menzione della sua partecipazione al "Concerto delle Dame" è il cronista ferrarese Trotti. Ebbe una relazione con Wert che fu smascherata a seguito di indagini ordinate da Alfonso d'Este
Era imperdonabile in una società così rigidamente strutturata, che una signora così ben nata fosse coinvolta in un rapporto del genere con un funzionario di corte, come sottolineava anche il rapporto di Laderchi al duca: "Jaches era povero fiammingo, stato ragazzo da cantar della Marchesa di Padulla et poi per lungo tempo servitore del Conte Alfonso della Nuvolara (Novellara).
La forma che ebbe enorme fortuna nell'ambito della cosiddetta "musica reservata", musica cioè riservata solo ai raffinati conoscitori aristocratici, signori delle corti e appartenenti a società culturali, fu il madrigale.
Il madrigale sorse in un clima culturale socialmente e spiritualmente determinato che coincideva con la riforma della lingua italiana voluta da Pietro Bembo (1470-1547) il cui merito fu quello di aver individuato nella poesia di Petrarca il modello estetico da seguire e la sua idoneità a ricevere la musica.
L'aspirazione del madrigale è quella di adeguare il suono alla musicalità delle parole, inoltre la musica non si limitava alla prima strofa, come nella frottola, ma copre l'intero brano.
La poesia madrigalesca predilige temi amorosi e  e quelli volti ad esaltare il culto della donna o a idealizzarne le virtù, più tardi anche temi descrittivi e satirici.
Una scrittrice di madrigali, che si stamparono assieme a quelli dei maestri più celebri, fu Vittoria Aleotti di Ferrara, figlia dell'architetto G,B,Aleotti costruttore del Teatro Farnese a Parma.
Compositrice e clavicembalista, dimostrò talento musicale precocissimo. Studiò musica con Milleville e con Pasquini.
Ancor giovanissima entrò nell'ordine delle agostiniane di S.Vito a Ferrara.a quattordici anni aveva già composto un buon numero di madrigali a quattro voci, raccolti nella Ghirlanda de musici ferraresi (1591, id.)
Raffaella, come la sorella, entrata nel convento do S.Vito, dal 1593 diresse il "Concerto delle monache" che, sotto la sua guida, raggiunse il suo più alto livello di perfezione esecutiva.
Le fonti storiche ci testimoniano inoltre le singolari capacità artistiche di Raffaella come organista e come compositrice di musiche sacre e profane (non pervenute).
Vincenzo Gonzaga era senza dubbio un ammiratore del "Concerto delle Dame", dal momento che, non appena ascese al trono (1587), formò un simile complesso a Mantova.
Una cantante era Caterina Martinelli, detta la "Romanina" o"Caterinuccia". Studiò a Roma con Arrigo Gabbino. A tredici anni venne chiamata alla corte di Mantova e divenne allieva di Monteverdi che la ospitò per tre anni insieme con la sua famiglia.
L'affascinante Caterinuccia fu interprete ammirevole della Dafne di Marco Gagliano ed era stata designata per la parte di Arianna di Monteverdi.
L'Arianna fu rappresentata la prima volta il 28 maggio 1608 durante i preparativi: non mancarono i problemi.
In primo luogo il compositore stesso e il librettista erano stati costretti a rivedere l'opera ancora sul finire di febbraio, dopo che, nel corso di un loro incontro con Follini e lo scenografo Antonio Mario Viviana, la duchessa di Mantova aveva dichiarato di trovarla "assai asciutta".
Ma la più grave battuta d'arresto fu provocata dal caso della Martinelli, durante l'apprendistato aveva contratto il vaiolo, che la condusse a morte ai primi di marzo.
La vicenda per Monteverdi fu un duro colpo sia professionale che personale. Tutta la corte prese il lutto ed è indicibile il compianto per la perdita di questa diva di diciassette anni.
Alla fine Virginia Andreini fu in grado di imparare la parte del personaggio en titre e di condurla in porto con un discreto successo..
Virginia Ramponi Andreini recitava anche nella "Compagnia dei Fedeli", fondata dal marito Giovanni Battista Andreini, a sua volta figlio di Francesco ed Isabella Canali, notissimi attori della "Commedia dell'Arte".
G.B.Andreini pubblicò numerose tragedie e commedie tra cui la Maddalena, dramma sacro con musiche di Monteverdi, Effrem, Ghivizzani, Rossi (Mantova,1617).
Ritornando al complesso mantovano, altre tre cantanti che vi facevano parte erano la napoletana Lucrezia Urbana che era anche un'arpista, e le sorelle Pellizzari che erano state probabilmente ascoltate dal duca Guglielmo durante una visita all'Accademia Olimpica di Vicenza di cui lo stesso fratello delle Pellizzari, Antonio, ne era musicista e "custode".
Sembra che il matrimonio di Vincenzo Gonzaga con Margherita, figlia di Alessandro Farnese, governatore dei Paesi Bassi, abbia spinto suo padre, Guglielmo Gonzaga, a tentare di ingaggiare nuovi cantanti di fama consolidata, con lo scopo primario di impiegarli nei festeggiamenti nuziali.
Guglielmo Gonzaga prese sul serio questa idea, dal momento che le trattative furono affidate a due agenti di primo piano, Aurelio Zibramonte e Antonio Rizzi.
Il 2 marzo 1581 Guglielmo informò Zibramonte che Laura Bovio sarebbe stata una compagnia adatta per Margherita Farnese.
A dare informazione sulla giovane a Guglielmo,era stato Annibale Cappello, già cappellano del duca e poi passato al sevizio del cardinale Luigi d'Este, che cinque anni dopo ebbe pure un ruolo importante nei tentativi di persuadere il musicista Luca Marenzio a passare al sevizio dei Gonzaga.
Cappello, che doveva aver sentito la giovane cantare e suonare vari strumenti, la raccomandò per le mansioni di cui si è detto poc'anzi. Intanto Laura Bovio si trovava nel convento di S. Lorenzo, dove molti si recavano a sentirla cantare e suonare durante le funzioni della Settimana Santa.
In seguito ella trovò a Mantova ma per poco tempo, dato che non oltre il 1582 doveva già essere a Bologna; qui il compositore Camillo Cortellini le dedicò il suo Primo libro de' madrigali a cinque voci, nella cui Prefazione celebrò la sua fama di virtuosa presso i musicisti e la nobiltà.
Laura Bovio non tornò più a Mantova, nel 1584 entrò al sevizio dei Medici ed infine andò a vivere nei pressi di Parma. L'ultima traccia che abbiamo di lei la troviamo nelle Canzoni d'intavolatura d'organo di Claudio Merulo pubblicate a Venezia nel 1582. Il volume contiene nove composizioni, ognuna delle quali è dedicata ad una dama cortigiana, e si apre con una canzone a quattro.la "Bovia".
Per il matrimonio di Cristina di Lorena, nipote favorita di Caterina de' Medici, con il granduca di Toscana Ferdinando, che nel frattempo aveva rinunciato alla dignità cardinalizia, i festeggiamenti nuziali ebbero inizio il 1° maggio e continuarono fino al 15 maggio. Accanto al tradizionale gioco del "calcio" in piazza S.Croce, a tornei e combattimenti di animali, essi comprendevano tre commedie, di cui La Pellegrina di Girolamo Bargagli, rappresentata il 2 maggio, con sei intermedi dagli Intronati di Siena nel teatro posto al primo piano degli Uffizi, fu quella allestita con più abbondante larghezza di mezzi.
Gli Intermedi sono delle interpolazioni canore o corali o strumentali autonome che venivano inseriti fra un atto e l'altro. di commedie o di tragedie.Gli esecutori erano spesso cantori professionisti che non si limitavano ad eseguire le melodie scritte ma le arricchivano di improvvisazioni secondo la tecnica detta della "diminuzione" che consisteva nel seguire l'andamento melodico riempendo però le note, specie le più lunghe, con fioriture di note più rapide, procedimento che veniva detto anche "cantare di gorgia".
L'elenco dei musicisti che presero parte agli intermedi fioriti è davvero straordinario. Tra i compositori più eminenti, Cristoforo Malvezzi, Luca Marenzio, Antonio Archilei.
Quest'ultimo compositore, cantante e liutista, fu al sevizio di Alessandro Sforza, Cardinale di Santa Fiora a Roma, passando poi nel 1584 al sevizio del cardinale Ferdinando de' Medici. Quando il suo protettore divenne granduca di Toscana (1587), lo seguì a Firenze con la moglie, la cantante Vittoria, che aveva sposato nel 1578 e con la figlioletta Margherita.
Tra le interpreti, le massime lodi furono riservate a Vittoria Archilei che si esibì con straordinaria maestria soprattutto nella parte della "Armonia Doria" nel primo intermedio.Vittoria Archilei, nata Concarini,, detta la "Romanina", oltre ad essere una cantante lirica era anche una brava liutista.
I più illustri musicisti dell'epoca lodarono la sua bravura e la sua arte di "passeggiare". Sia Jacopo Peri nella dedicatoria dell 'Euridice, 1600, sia Giulio Caccini nella prefazione dell'Euridice, decantarono sommamente la cantante: l'uno per aver adornato, come altre volte, le sue musiche; l'altro per " la nuova maniera de' passaggi e raddoppiate inventate da me, quali ora adopera, cantando le opere mie, già è molto tempo, Vittoria Archilei, cantatrice di quella accellenza he mostra il grido della sua fama".
A Firenze una particolare e importante famiglia di musicisti è la famiglia Caccini.
Giulio Caccini detto il "Romano" incarnava un prototipo del cantante di nuova professionalità. Teneva scuola: e con gli altri, sue allieve la seconda moglie Margherita e le sue figlie Francesca e Settimia.
Nella didattica prescriveva la controllata moderazione dei passaggi, normalizzò gli abbellimenti, chiedeva espressività affettuosa: il volume polifonico è sgretolato. Emerge in primo piano la melodia del canto solo.
Francesca Caccini detta la "Cecchina" fu una famosa cantante e compositrice e si esibì come suonatrice di clavicembalo e di liuto a Firenze. Cantò per la prima volta con il complesso formato dalla famiglia nel Rapimento di Cefalo (opera di suo padre) nel 1600.
Accompagnò il padre alla corte di Enrico IV a Parigi nel 1604-1605. Da una lettera datata 28/05/1606 di Michelangelo Buonarroti il Giovane, che incoraggiava le giovanili prove letterarie della Cecchina, si sa che già allora componeva musica su versi propri. Sposò il cantante e compositore mediceo G.B.Signorini.
Menzionata nei diari di corte (tra il 1602-1626) prese parte a diversi festeggiamenti e a cerimonie sacre. Fu spesso incaricata di scrivere balli ed altri intrattenimenti musicali.L'unico lavoro teatrale pervenutoci è il balletto La liberazione di Ruggero dall'isola di Polonia.
Le figlie Francesca, Maria ed Emilia cominciarono a cantare con lei intorno al 1620; un figlio, Scipione, si unì al gruppo nel 1622; un'altra figlia, Margherita conseguì anch'essa notorietà come cantante.
Settimia Caccini, sorella della "Cecchina" sposò A.Ghizzani che divenne maestro di cappella del Cardinale Farnese a Parma, dove Settimia interpretò la parte di "Aurora" in Mercurio e Marte di Monteverdi il 21/12/1628.
Un altro figlio di Giulio, Pompeo Caccini,cantò nella prima rappresentazione dell'Euridice nel 1600; da un libretto con annotazioni si sa che sostenne la parte di "Aminta" in una successiva rappresentazione. Cantò anche nella parte di "Fiume" a Roma nella Aretusa di F.Vitali (Palazzo Corsini, 1620); per questo spettacolo disegnò anche le scene,
A Roma spiccavano i cantanti intrattenuti dal melomane Cardinale Montalto. Furono al suo sevizio Cesare Marotta (S.Agata di Puglia, Foggia, 1580 ca.-Roma 28/07/1630) e la clavicembalista e sua moglie Ippolita, amatissima cantante.
Contribuì notevolmente all'affermazione del nuovo genere monodico e, indirettamente, del melodramma la napoletana Adriana Basile che con la voce, l'abilità di accompagnatrice strumentale, la bellezza e la costumatezza conquistava i favori dei principi e dei poeti d'Italia.
Il Marino la cantò nell'Adone e il Chiabrera scrisse per lei diverse poesie.
Sorella del poeta G.B.Basile si fece conoscere dapprima a Roma e a Firenze; ammiratissima a Napoli ne fu rimpianta la partenza per Mantova (1610) dove era stata chiamata alla corte su segnalazione  di Monteverdi. Dal duca Vincenzo Gonzaga, ottenne la baronia di Pian Ceneto nel Monferrato.(1612).
Tornata a Napoli nel 1619, l'anno seguente era nuovamente a Mantova, e nel 1623 a Venezia ottenne un trionfale successo. Trascorse gli ultimi anni a Napoli e a Roma.
Dal matrimonio con Muzio Baroni le nacquero le figlie: Caterina cantante, arpista e poetessa, Eleonora. Ebbe una raffinata educazione alla corte della città nativa (Mantova) e trionfò quale cantatrice cameristica a Napoli  e a Parigi -dove fu chiamata dal Mazarino- e a Roma, tanto da meritare gli encomi poetici di Milton e del futuro Papa Clemente IX.
Quindi, nel Cinquecento, mentre il madrigale polifonico era destinato ad essere cantato "a tavolino" per il piacere stesso dei cantori, siano essi professionisti o dilettanti, cortigiani o contadini, la monodia aveva un atteggiamento "recitativo" intrinseco: l'isolamento della voce singola consentiva infatti l'individuazione di un personaggio recitante che, d'altra parte, sapesse porgere con efficacia e raffinatezza il testo e il canto ad un pubblico di ascoltatori e di spettatori. Non a caso frequenti erano gli avvenimenti coevi intorno al contegno e alla temperata gesticolazione facciale e corporea che doveva tenere il cantore virtuoso.
La monodia recitativa rappresentò una prerogativa di poche corti, una novità preziosa e ricercata da esibire nelle occasioni rappresentative: gli apparati celebrativi e conviviali si arricchivano dell'intervento di musicisti e cantanti "corteggiati" dai principi d'Italia.












  

Un singolare musicista del Cinquecento: Gesualdo da Venosa (1560-1613)





Figlio di don Fabrizio Gesualdo, uno dei maggiori esponenti della nobiltà meridionale, nipote per parte di madre di San Carlo Borromeo, per parte di padre del Cardinale Alfonso Gesualdo, arcivescovo di Napoli, Carlo Gesualdo fu avviato giovanissimo alla musica,che coltivò per tutta la vita per passione intellettuale e non per esigenze professionali o obbligo d'ufficio, ritenuto disdicevole per il suo rango. Infatti, non a caso, la maggior parte delle sue composizioni, venne pubblicata ad opera di musicisti della splendida Accademia musicale presieduta dal padre.
Tra i musicisti di spicco: Rocco Rodio, Scipione Stella, Pomponio Nanna, quest'ultimo ritenuto secondo alcuni studiosi maestro di Gesualdo.
Nel 1586 sposò la cugina Maria d'Avalos, dalla quale ebbe due figli. Tuttavia il matrimonio ebbe un epilogo sanguinoso: il 26 ottobre 1590, sorpresa la moglie in flagrante adulterio con don Fabrizio Carafa, duca d'Andria, la fece uccidere con l'amante dai propri servi. Tra le vittime di questa atroce tragedia ci fu forse anche, più tardi, il piccolo secondogenito, che Gesualdo riteneva nato dalla relazione adulterina della moglie.
A proposito di questo episodio, assurda è l'interpretazione in chiave autobiografica dell'opera di Gesualdo da parte di alcuni critici, i quali hanno stabilito una arbitraria connessione tra esperienze estetiche e presunte tendenze omicide del musicista.
Nel 1594 si trasferì a Ferrara, non tanto per sfuggire alla giustizia, quanto per evitare la vendetta dei parenti degli uccisi.Lì sposò in seconde nozze Eleonora d'Este, nipote del duca Alfonso II, di una decina di anni più anziana di lui.
Gesualdo ebbe nodo di intrecciare legami con l'ambiente musicale e culturale di Ferrara: fondamentale il rapporto con i musici di corte come Luzzaschi, da lui amato e celebrato, Wert, bandito tempo addietro dalla corte per una relazione amorosa con Tarquinia Molza, una della cantatrici del celebrato "Concerto delle Dame" ferraresi.
Contribuirono al repertorio delle Dame non solo Luzzaschi e Wert, ma anche Marenzio, Monteverdi e lo stesso Gesualdo. Il principe napoletano inoltre conobbe Guarini; Torquato Tasso, che era già stato suo ospite a Napoli nel 1588 e nel 1592 residente anche lui in quel periodo a Ferrara, gli aveva offerto non meno di quaranta poesie per musica.
Dalle lettere di un musicista ferrarese, A.Fontanelli, emerge il ritratto di Gesualdo i cui tratti essenziali sono: una passione sfrenata per la musica e curiosità per le più avanzate esperienze stilistiche del tempo, ma anche sprezzante alterigia nobiliare, amore per il formalismo del cerimoniale e, al tempo stesso, insofferenza per le convenzioni sociali.
Dopo il 1597 Gesualdo ritornò a Napoli e vi rimase sino alla fine dei suoi giorni.
Nell'opera di Gesualdo, comprendente sei libri di madrigali a 5 voci e un libro a 6 voci e alcune composizioni sacre, è riflessa quella sua passionalità violenta e contrastata. L'espressione artistica risulta altamente personalizzata attraverso una audace originalità dei mezzi tecnici: il suo stile cromatico e dissonante, l'irregolarità ritmica non seguono le consuete regole del comporre musicale.
Scrive Bianconi  che "se arbitrariamente, si omettesse di cantare il testo, come ha fatto Stravinskij strumentando il madrigale intitolato Beltà che poi t'assenti, la musica di Gesualdo, estraniata, suonerebbe moderna e fossile  a un tempo". (1)
La partitura del 1613, che contiene i sei libri di madrigali riuniti, approntata dall'editore genovese Simone Molinaro, assunse una funzione didattica: Scarlatti, scriveva, in una sua lettera del 1706, di essersi spesso dilettato a cantare e a studiare i madrigali del "nobile" musicista.
Così, mentre gli artificiosi madrigali, diventarono oggetto di studio del contrappunto florido e del cromatismo pervadente, a Roma in casa Barberini già si suonavano sulle viole i madrigali di Carlo Gesualdo, principe di Venosa: nasceva la nuova musica strumentale seicentesca.


Note
(1) Lorenzo Bianconi, Il Seicento. Storia della musica, EDT, Torino 1982, P. 9


















L'inno dedicato al Nilo


Nell'antico Egitto la musica accompagnava le feste, i banchetti e le cerimonie religiose.
La musica aveva un ruolo importante nei rituali del tempio dove era eseguita da sacerdoti-cantori o da donne musiciste appartenenti a famiglie nobili; erano presenti anche danzatori e danzatrici spesso di provenienza siriana.
Un'intensa attività musicale era svolta alla corte del faraone, dove cantanti e strumentisti avevano una posizione di prestigio. Sono arrivati a noi nomi di diversi musicisti: la cantante Iti, epoca V dinastia, è raffigurata con l'arpista Hekenu in un rilievo della necropoli a Saqqara.
In realtà della musica egiziana conosciamo ben poco, perché probabilmente non esisteva una notazione in quanto, come nelle altre civiltà antiche, la musica era di tradizione orale.
 Si è cercato di formulare delle ipotesi sui sistemi musicali egiziani dal momento che non abbiamo alcun frammento di notazione scritta:
Uno studio sull'accordatura dell'arpa indusse Curt Sachs ad affermare che gli egiziani conoscevano ed impiegavano scale pentafoniche discendenti.  molte illustrazioni parietali o su papiri riproducono esecutori che suonavano il loro strumento avendo di fronte cantori e atteggiavano variamente le braccia, le mani e le dita. Sachs, pertanto, ha proposto di dare a queste varie posizioni il nome di "chironomia" e le ha interpretate come una sorta di notazione. La chironomia venne quindi trasmessa agli antichi greci e la ritroveremo direttamente nel Medioevo poiché sarà l'origine della scrittura neumatica. Infine la chironomia venne utilizzata da Guido D'Arezzo, il trattatista e didatta più importante di tutto il Medioevo, con l'ingegnoso sistema della "mano armonica" o "guidoniana"; il chironomo egiziano era alle volte contemporaneamente anche cantore e stava accovacciato di fronte ai musicisti, facendo gesti con le mani dal significato ritmico e melodico.
I movimenti che più frequentemente compaiono sono il pollice che tocca l'indice e va  formare una specie di anello e la mano con le dita tese gli studiosi ritengono che questi due diversi e ricorrenti atteggiamenti della mano stiano ad indicare, in termini di armonia, la nota fondamentale e la quinta; i successivi gradi di una scala sarebbero indicati dalla differente inclinazione del braccio rispetto all'avambraccio, per cui più acuto è l'angolo, più acuta è la nota.
La civiltà egiziana fu, nel corso della sua millenaria storia, indissolubilmente legata alla magia, come credenza nel potere delle parole magiche, negli incantesimi, negli oggetti e nella rappresentazione di cerimonie accompagnate dalla recitazione intonata di formule.
Uno dei documenti più antichi è l'insieme delle iscrizioni incise nella piramide del re Unis della V dinastia. Nella camera mortuaria del re si trovano intere pareti di geroglifici di tre specie quanto al contenuto: testi relativi al rituale dei defunti, preghiere, formule per guarire o preservare dal morso degli scorpioni e dei serpenti.
Un altro documento antichissimo e di maggiore interesse è un inno al Nilo, che corrisponde ad un incantesimo per ottenere la pioggia. Questo incantesimo era di competenza del faraone il quale, attraverso l'intonazione di questo inno, assicurava al Paese l'acqua agognata.Nell'ultima strofa si trova una serie di invocazioni ritmicamente disposte che testimoniano sia un'idea musicale sia il carattere magico.
Il fascino di questa antica civiltà, della quale oggi non vi è più traccia, è tale da essere confusa con la mitologia.
Tuttavia il mito si materializza nelle tracce imponenti e impressionanti di quel passato: i grandiosi monumenti, la sacralità dei templi, la maestosità delle piramidi; ma il mito si trasfigura anche nella storia di un popolo che sviluppò le arti e, l'inno al Nilo, al cui maestoso fluire si legano tutt'oggi le forme di vita di questa terra, costituisce un'esemplare testimonianza.